Baratti: sulla duna un industria del ferro. Forni, scorie di rame e tombe scoperte dagli archeologi dell’Università di Siena

In riva al mare, a poche decine di metri dal Casone di Baratti, gli archeologi dell’università di Siena, hanno riportato alla luce un’antica industria metallurgica, sorta prima della necropoli di San Cerbone, pezzo forte della Populonia etrusca.

Centro di lavoro per etruschi e romani. Secoli dopo la stessa industria viene riconvertita per salare il pesce (primo medioevo). È, questo, il risultato più importante dello scavo condotto dall’università di Siena. Tutto è iniziato nel 2002, quando il mare “scoprì” muretti e forni per la cottura del minerale.

Da allora le operazioni sono state dirette da Andrea Camilli, della Soprintendenza ai beni archeologici della Toscana, e da Franco Cambi dell’università di Siena. Partecipano Marco Benvenuti dell’università di Firenze, Jacopo De Grossi Mazzorin e Girolamo Fiorentino dell’università di Lecce e studenti di Siena, Firenze, Roma oltre a dottorandi spagnoli. «Raccolte pure scorie di rame, databili almeno alla metà dell’VIII secolo – spiega Franco Cambi (foto), responsabile dello scavo – in un’epoca che precede la costruzione delle grandi tombe a tumulo nella necropoli». Da qui e fino al VII secolo dopo Cristo, c’è vita e lavoro: si va dalla nascita di Populonia e di Roma fino al primo medioevo, in coincidenza con la morte di San Cerbone. Non mancano tracce di modernità, rappresentate da enormi fosse scavate intorno al 1950 per recuperare le scorie di ferro da destinare all’altoforno. «Etruschi e romani – dice Cambi – lasciarono nel golfo una massa complessiva di scorie di ben 2 milioni di tonnellate. Dovrebbe essere quello che resta della produzione di un quantitativo di ferro di 600-1000 tonnellate nei secoli compresi fra il VI e il I a.C., almeno 1 tonnellata media annua. In questo periodo il paesaggio del golfo di Baratti – continua – era diviso fra attività portuali, mercantili e metallurgiche. Forse già dal VII secolo a.C., i fonditori di rame avevano lasciato il posto alle forge dei fabbri, vere e proprie officine in muratura».

«Con la seconda guerra punica, alla fine del III secolo a.C., quando Roma conquista il Mediterraneo – aggiunge l’archeologo – Populonia diventa il luogo della produzione massificata di ferro grezzo mentre la produzione dei semilavorati, degli utensili viene trasferita a Pisa ed Arezzo». Lo scenario inizia a cambiare agli inizi del I secolo a.C., quando l’area viene bonificata con una serie di riporti di terreno. Nei secoli successivi, le attività metallurgiche diventano marginali. Nasce e si sviluppa un quartiere portuale a partire dalla metà del I secolo a.C. «In uno degli edifici si salava il pesce – continua Cambi – attività che si accorda con la testimonianza del geografo greco Strabone che, visitando la zona nell’età di Augusto, ricorda d’aver visto funzionare una tonnara. Nella stanza limitrofa vengono sepolti un uomo ed una donna, età 35-40 anni, la seconda con oggetti d’oro al collo, ai polsi ed alle caviglie. Siamo intorno alla seconda metà del II secolo d.C., fra Marco Aurelio e Settimio Severo.

Dopo un abbandono del sito tra la metà del III e il V secolo d.C., la rioccupazione dei secoli V e VI d.C., appare collegata alla cristianizzazione della zona – aggiunge Cambi – si tratta dei decenni in cui sono protagonisti vescovi e santi quali Asello, Regolo e infine Cerbone. Gli edifici sono riutilizzati a fini abitativi mentre la parte prossima alla strada attuale è occupata da sepolture in terra o entro anfore. Uno degli ultimi episodi di frequentazione del sito è costituito dalla sepoltura in terra d’un bambino morto prima del battesimo».

Quello della spiaggia di Baratti è tra gli scavi più ricchi d’informazioni sulla storia di Populonia che si sono avviati quest’anno, capace d’essere punto di riferimento per le indagini archeologiche dei prossimi anni. Un patrimonio di conoscenza che deve essere valorizzato. «Sarebbe un disastro se i piombinesi dimenticassero che ferro/acciaio sono stati per lungo tempo al centro della vita della comunità – conclude Cambi – Si parla molto della storia del ciclo del ferro e dell’acciaio e a questa storia sta per essere dedicato un parco museo. A questa iniziativa, pensiamo di poter dare un contributo significativo».

KATIA GHILLI

Il Tirreno 31.10.2010

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