Baratti e l’archeologia diffusa. Scrive Franco Cambi (*)

Baratti e l’archeologia diffusa. Scrive Franco Cambi (*)

Anni fa proposi la costruzione di un sistema informativo unitario e unificato del golfo di Baratti: una specie di grande archivio-giornale on line nel quale storia, geografia, ambiente e forme di antropizzazione si coniugassero coerentemente e in maniera armonica. Nelle mie intenzioni si trattava di creare una struttura aperta e innovativa, a disposizione di storici, archeologi, naturalisti, certamente, ma anche di turisti, visitatori e, soprattutto, della comunità locale.

A loro, ovvero ai “barattiani”, che di Baratti sanno tutto, era rivolto l’invito ad essere attori effettivi nella costruzione del sistema, prima ancora che utenti. Credo, infatti, che uno degli esiti migliori per le informazioni che storici-archeologi-naturalisti producono, sia quello di coniugarsi con le informazioni locali, in modo da creare efficaci mappe di comunità (così le chiamano gli urbanisti avveduti) e vera conoscenza (vera perché alla costruzione di questa conoscenza collabora la comunità locale).

L’idea mi era venuta a seguito di una riunione con altri studiosi: geologi, geomorfologi, agronomi, scienziati della comunicazione e del turismo. Ricordo anche che, a quell’epoca, l’idea di un agronomo di ripristinare nel golfo le colture ortive di pregio in chiave di filiera corta destarono qualche perplessità. Capita, di essere perplessi o addirittura sospettosi verso ciò che non si conosce. Una produzione agricola locale rappresenterebbe un sicuro valore aggiunto e potrebbe anche interessare i ristoratori della zona. Inoltre, darebbe una stabilità maggiore ai suoli del golfo e, entro certi limiti, darebbe ai fossi che scorrono verso il mare materiali detritici utili al ripascimento naturale della spiaggia.

barattiIl golfo di Baratti è la risultante di una straordinaria stratificazione di storie. Alcune abbiamo provato a raccontarle in passato con articoli su riviste specializzate e non, con i pannelli del Parco, con le conferenze pubbliche. Ma quel lavoro, il racconto pubblico, non è ancora finito, anzi, sembra a me appena agli inizi di un nuovo ciclo.

Uno dei racconti che mi piacerebbe affrontare, da qui in avanti, è la storia dell’acqua nel golfo di Baratti, anzi delle acque: dolci, salate, salmastre, piovane. Molte delle storie del golfo hanno preso a crescere dalla sorgente di San Cerbone. Dove, però, si trovi, realmente, la sorgente, è difficile dire. Probabilmente la fonte detta “di San Cerbone” situata in prossimità del Ficaccio e della Chiesina del Santo si deve ad una sistemazione dell’area di epoca lorenese. La lasciamo temporaneamente da parte. Il nostro racconto deve necessariamente coinvolgere tre autorevoli personaggi del mondo antico: Tito Livio, Strabone e Rutilio Namaziano.

In modi diversi i tre sembrano indicare questa zona come fortemente caratterizzata dalla presenza di acque interne. La ricerca archeologica ha confermato e ulteriormente arricchito la conoscenza di questo assetto. La casonepopolazione locale sa perfettamente che il centro (e il cuore) del golfo è il Podere Casone. Di questo edificio, una delle emergenze architettoniche e urbanistiche più visibili della zona, si sa, effettivamente, molto poco. Il Casone segna il punto di contatto fra il mare del golfo e i bacini di acque dell’entroterra, in cui si ricoveravano le navi (i neosoikoi di Strabone). Un canale non molto profondo e non molto largo consentiva di entrare e di uscire dal bacino interno. Uno di questi doveva trovarsi in prossimità dell’attuale parcheggio del Parco Archeologico di Baratti. Il relitto del casone-1821bacino coincide attualmente con un’area umida coperta da canneti, che conserva una forma perfettamente quadrangolare. Il canale si è invece, nel tempo, trasformato nell’attuale fosso Valgranita. Quando piove forte oppure il mare si agita molto, il fosso riapre la sua foce verso mare e, con lui, l’antico canale. La mia visione è molto onirica ma non posso tacere che mi piacerebbe molto vedere un giorno ripristinato sia il bacino interno sia il canale. Sarebbe un’attrattiva formidabile anche dal punto di vista turistico, paragonabile al celebre kothon dell’isola di Mozia, in Sicilia.

Per motivi diversi e, senza avere prove certe in mano, mi sento di affermare che l’originaria sorgente doveva trovarsi fra il bacino interno e la pineta del Centro Velico. Ma si tratta, appunto, di una congettura. La sorgente, per la verità, in prossimità di un luogo centrale come il Casone, del quale ignoriamo le fattezze passate, ci sta benissimo. La sorgente contribuisce a costruire le geografie e i paesaggi passati del golfo di Baratti e ne attraversa la storia, dalle origini lontane all’arrivo del santo e oltre, fino ad oggi.

Credo che il golfo di Baratti offra una splendida opportunità, fra le molte. Quella di raccontare storie straordinarie svoltesi in un luogo straordinario: il sito di una città antichissima nelle origini e anomala nella sua formazione. Baratti è archeologia e l’archeologia è strutturale nella storia del golfo, tanto da rendere incomprensibili l’uno senza l’altra. Per questo penso che le ricerche sin qui svolte negli ultimi decenni dalle diverse istituzioni, con scopi diversi, siano particolarmente utili, a partire dai meritori scavi di emergenza intrapresi da Andrea Camilli in questo terribile autunno-inverno, risalendo indietro nel tempo.

Ma Baratti, con Populonia, è, soprattutto, uno dei luoghi in cui l’archeologia di tutela e di ricerca si è fatta comunicazione, partecipazione, racconto condiviso scritto a più a mani, anche con il contributo della comunità locale. Credo che ora si stia aprendo per Baratti una fase nuova. E’ tempo di lasciarsi alle spalle le polemiche, di superare le poche divergenze che separano e di tornare a unire le molte forze positive che accomunano, in un nuovo e grande progetto, scritto nel segno di una consolidata coerenza culturale.

(*) Franco Cambi, Docente di Archeologia dei Paesaggi, Università di Siena     

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Un pensiero su “Baratti e l’archeologia diffusa. Scrive Franco Cambi (*)

  1. Sono in piena sintonia con quanto affermato da Franco Cambi…è necessario approfondire la ricerca archeologica per capire ancora tanto della nostra storia in tutto il territorio della Val di Cornia..una terra ricca di storia dove a parer mio popolazioni ed etnie diverse si sono moltiplicate nel tempo antico.

    Mauro Pantani

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