Alternative alle cave ci sono. Risposta del Gruppo 2019 ai lavoratori dell’Unicalce

Alternative alle cave ci sono. Risposta del Gruppo 2019 ai lavoratori dell’Unicalce

L’allarme lanciato dai lavoratori dell’Unicalce è molto utile a far chiarezza.
I lavoratori evidenziano come dal 2000 ad oggi si siano persi 55 posti di lavoro, quasi l’80% e che nel pianificare ogni scelta strategica, ivi compresa quella di andare ad una progressiva riduzione dell’incidenza delle cave nell’economia locale, occorre pianificare da subito e con chiarezza l’alternativa.

Alcuni dubbi debbono essere fugati. Nessun amministratore sano di mente si impegna a distruggere posti di lavoro, al di là dell’episodio di questi giorni delle osservazioni al Piano Regionale Cave, il Comune avrebbe comunque dovuto impegnarsi nel costruire alternative occupazionali concrete ai settori oggi in crisi come quello estrattivo. Non è stato fatto per le acciaierie con i risultati evidenti a tutti, dobbiamo evitare in ogni modo che le Amministrazioni osservino inerti lo stillicidio di posti di lavoro anche nel settore estrattivo senza pianificare un’alternativa.

Alternative che sono già indicate, persino nel Piano Regionale Cave, e che spingono verso l’innovazione del processo industriale, verso il riuso, recupero e riciclo dei materiali di scarto (di cui la Val di Cornia è forse la più grande “cava” regionale) e nell’investimento sugli altri settori economici e produttivi da coltivare sulle colline.

Lavorarci in tempo è tutt’altro che impossibile con beneficio non solo dei lavoratori oggi impiegati nelle attività estrattive e nell’indotto ma anche di tutti gli altri cittadini della Val di Cornia. Quelli che cercano lavoro e non l’hanno mai trovato, quelli che non hanno più un’occupazione a causa del declino dei settori economici “tradizionali” di questa zona.

La responsabilità della politica oggi è quella di non fingere che tutto vada bene nel settore estrattivo aspettando che il mercato condanni le attività e i lavoratori senza che sia stato predisposto un piano occupazionale alternativo, oggi la politica è chiamata ad investire con forza su quei settori produttivi che rappresentano il futuro del nostro territorio e le prospettive occupazionali più concrete per le migliaia e migliaia di disoccupati, inoccupati e sottoccupati che ci sono in Val di Cornia.

Far finta che nei prossimi vent’anni il settore estrattivo sarà in grado di dare risposta alla fame di lavoro che conosciamo non conviene a nessuno. Se non si pianifica l’alternativa all’attuale sistema produttivo in crisi ci sarà un’unica possibilità per i cittadini della Val di Cornia: emigrare.

L’esempio dell’Unicalce è calzante: nonostante le continue concessioni del Comune di Campiglia al settore estrattivo, persi in vent’anni l’80% dei dipendenti. Un dramma per un territorio che deve difendere con i denti e con le unghie ogni posto di lavoro esistente ma soprattutto deve garantire ai lavoratori che non saranno sacrificati sull’altare della crisi economica di alcuni settori. Serve un’altra politica economica locale e serve subito.

Gruppo 2019

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