Cave, lavoratori in allarme «A rischio il nostro lavoro»

Cave, lavoratori in allarme «A rischio il nostro lavoro»

Le maestranze di Unicalce in apprensione per il destino delle attività estrattive. «Serve un confronto tra tutte le parti. Chiudere? Prima si crei un’alternativa»

Preoccupazione per il futuro, timore di perdere il posto di lavoro. È quanto provano i lavoratori dello stabilimento Unicalce di Campiglia, che esprimono al Tirreno l’apprensione per i posti di lavoro del settore estrattivo, dal quale dipende la possibilità di pianificare il proprio futuro.

«Il Comune di Campiglia – spiegano in una nota le maestranze di Unicalce, ex Sider Calce di Campiglia M.ma – con le modifiche al piano strutturale del 2018 ha messo in sicurezza le attività estrattive per i prossimi anni: noi lavoratori siamo parte integrante di questo comparto produttivo che ha già subito una trasformazione lavorativa e di mansioni, adeguandosi alle esigenze dell’azienda in termini di differenziazione, operazione grazie alla quale è stata data continuità e sono stati mantenuti i posti di lavoro, merce rara in questi tempi di crisi.

Sappiamo benissimo cosa ha voluto dire la crisi siderurgica di Piombino, perché da 70 lavoratori ad inizio del 2000, oggi siamo rimasti 15, e aggiungiamo meno male!».

I lavoratori spiegano come l’azienda si sia aperta ad un nuovo segmento di mercato creando una linea lavorativa di premiscelati, ovvero materiali per l’edilizia (intonaci, malte da muratura, etc.) composti anche dal calcare estratto dalle colline campigliesi, dove si coltiva materiale pregiato: una precisa volontà aziendale per mantenere alta la qualità dei prodotti immessi sul mercato.

«La domanda che noi tutti poniamo all’attenzione della politica, è questa: il lavoro, e i lavoratori sono una risorsa o un rischio? – chiedono – Il sito di Campiglia è sempre stato storicamente rinomato come ricco di materiali di varia natura e ha sempre fondato parte della sua economia su questo tipo di attività: ricordiamo agli storici e ai letterati che i primi furono addirittura gli Etruschi.

Se è vero che la Regione Toscana propone soluzioni o individua obiettivi di sviluppo, è altrettanto vero che contempla come linea produttiva di questo territorio le attività estrattive, come dimostra l’adozione del piano regionale delle Cave adottato nel luglio scorso». Gli addetti di Unicalce fanno notare come la stessa Regione, infatti, stabilisca un principio da non sottovalutare: quello di preferire sia dal punto di vista ambientale che di sostenibilità la coltivazione dei siti già individuati, continuare a lavorare nei siti già attivi piuttosto che aprire nuovi fronti di cava. «E quindi ci sembra plausibile che venga comunque garantita una continuità temporale.

È nostra convinzione come lavoratori che la soluzione possa emergere soltanto dal confronto di tutti gli attori della partita: istituzioni (Regione e Comune), aziende, organizzazioni sindacali e lavoratori, ritenendo parziale e metodologicamente scorretto fermarsi alla valutazione di un singolo piano o di una singola area svincolata dal sistema complessivo».

Affermare oggi che chiudendo le aziende si creano altri posti di lavoro sembra «bizzarro» ai lavoratori di Unicalce. «Prima di chiudere – dicono – bisogna creare un’alternativa, non si possono lasciare i lavoratori senza lavoro e senza diritto al futuro».

Il Tirreno 19.10.2019

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