Agricoltori contro il nuovo piano paesaggistico

Agricoltori contro il nuovo piano paesaggistico

La Cia all’attacco del testo della Marson: bene limitare il consumo del suolo, ma assurdo vietare nuovi vigneti.

Il nuovo piano paesaggistico non piace per niente agli agricoltori: il testo normativo Marson del 2 luglio scorso ha provocato la reazione della Cia (Confederazione Italiana Agricoltori) che di riflesso ha presentato un dossier paesaggistico regionale. Se nè parlato ieri mattina a Venturina con Cinzia Pagni (presidente Cia Livorno) e Stefano Poleschi (direttore Cia Livorno), i quali hanno illustrato i troppi divieti all’attività che sono previsti nel piano paesaggistico in approvazione dalla regione Toscana, dove l’agricoltura provinciale e non solo risulterebbe fortemente condizionata.

Come ha spiegato la presidente Pagni: «Il nostro intervento è un grido d’allarme o meglio una rivendicazione su un piano paesaggistico condivisibile a metà, perché una cosa è tener conto nello sviluppo del settore, delle possibili criticità in particolari condizioni, altro conto è il freno generalizzato e immotivato a qualsiasi trasformazione del paesaggio agrario. È condivisibile il principio di limitare il consumo di suolo agricolo, ma questo non può diventare un ostacolo che rischia di mettere in crisi la competitività del settore».

«Pertanto – continua il presidente – il piano paesaggistico avrebbe forti ripercussioni negative anche sul piano provinciale. Mettere un freno al consumo sconsiderato di suolo agricolo è sicuramente positivo, ma non può trasformarsi in vincoli che paradossalmente impediscono l’attività agricola, la quale dovrebbe essere invece incentivata e aiutata a consolidarsi sul territorio». Si parte dal presupposto che se l’agricoltura è un valore essenziale per il paesaggio lo è quando è produttiva e capace di generare ricchezza. Il paesaggio toscano è nato dall’attività degli agricoltori sulla base di esigenze economiche e produttive.

Dello stesso parere è il direttore Cia Stefano Poleschi che sostiene l’importanza del piano paesaggistico adottato dal consiglio regionale lo scorso 2 luglio. Poleschi sostiene il progetto nella sua architettura: «Il piano è complesso e ambizioso e noi della Cia lo condividiamo per quanto riguarda i tre obiettivi fondamentali, perché mira al contrasto del consumo del suolo; riconosce l’agricoltura quale presidio paesaggistico essenziale; punta al recupero produttivo agricolo di superfici abbandonate. Tuttavia appare inaccettabile il limite alla realizzazione di nuovi vigneti, o il considerare i nuovi insediamenti connessi all’attività agricola al pari di fenomeni di urbanizzazione selvaggia, che giustamente vanno contrastati. In più si suggeriscono e si promuovono pratiche agricole ritenute virtuose, come lo sviluppo delle attività agropastorali tradizionali, senza considerare l’esigenza di incentivi finanziari a sostenere tali attività».

Altro aspetto non condivisibile – sottolinea la cia di Livorno – è l’utilizzo della risorsa idrica. Si indica la priorità dell’uso idropotabile, ma non viene fatto riferimento all’utilizzo agricolo in un’area vocata, oppure si pongono limiti alla realizzazione di piani culturali irrigui o all’installazione di serre. Ecco pertanto i motivi per cui il piano va emendato, correggendolo negli aspetti che condizionano e limitano lo sviluppo del settore agricolo. La Cia ha, infatti, dimostrato da tempo preoccupazione in merito, presentando proposte di modifica alla giunta e al consiglio regionale prima dell’adozione del piano. Quello che la Confederazione Italiana agricoltori chiede è il rispetto dell’articolo 149 del Codice del Paesaggio, affinché si riconosca l’agricoltura quale risorsa paesaggistica.

Francesca Zamboni – Il Tirreno 11.9.2014

 

«Il piano è tutto da rifare» l’affondo dei consorzi doc

«Non è questione di emendamenti o di piccole modifiche per cambiare, qua e là, alcune cose, quanto piuttosto di un profonda e radicale inversione di rotta che superi la filosofia di fondo del piano». Bocciato. «L’è tutto da rifare», direbbe Gino Bartali. Così si conclude il documento sul Pit della Regione che i consorzi del vino, una ventina in tutto, hanno concordato ieri, in un vertice tenutosi a Firenze.

Dal Chianti a Montalcino, da Bolgheri a Scansano, da Bibbona a Montepulciano, tutti i più noti vini del made in Tuscany hanno deciso di scendere in campo contro l’assessore Anna Marson e il suo piano del paesaggio. Entro il 29 settembre possono essere avanzate osservazione alle quasi 3mila pagine del Pit, ma i consorzi del vino mettono le mani avanti. E come sottolinea Federico Zileri Del Verme, presidente del consorzio dei vini di Bolgheri, non chiedono qualche modifica qua e là: «Noi chiediamo lo stralcio. Quel piano così come redatto non va bene».

In realtà Giuseppe Liberatore, direttore del consorzio Chianti classico, fa capire che sì il Piano andrebbe riscritto, ma poi alle fine, come assicurato da Vittorio e Lamberto Frescobaldi al presidente della Regione Enrico Rossi, saranno avanzate dai viticoltori osservazioni puntuali al piano, in via di preparazione.

Ma intanto la guerra continua, e lunedì prossimo manifestazione di protesta al mercato centrale di Firenze. Le viti rendono, gli ulivi no. Ma in concreto quali sono i rilievi critici al piano? Intanto il modello di agricoltura che il Pit propone. Un modello «vecchio e non competitivo», che se attuato bloccherebbe «lo sviluppo dell’agricoltura di qualità che pure è parte integrante e decisiva del Pil toscano». Dello stesso avviso anche Guido Folonari, presidente di Confagricoltura di Livorno: «Il Pit vuole pianificare l’attività agricola su parametri estetici, invece di proporre una agricoltura attiva e moderna, produttrice di reddito e occupazione». Liberatore va sul concreto e riporta le foto della Toscana agricola di qualche decennio fa e quelle odierne.

Là dove c’erano campi di grano e di ulivi, oggi ci sono distese di viti: «Premesso che dal punto di vista del paesaggio quella Toscana non era più bella di quella di oggi, resta il fatto che, ad esempio, gli ulivi non sono redditizi, le viti sì», spiega Liberatore. In breve, come è ovvio, gli agricoltori puntano sulle produzioni che producono reddito. E c’è chi ieri a Firenze, polemicamente osservava: «Alla Regione interessano gli ulivi o altre colture oggi in via di scomparsa? Ok, ma allora deve sostenere il reddito degli agricoltori». Le vigne non sono un museo. E comunque – altro tema del documento – i consorzi respingono l’idea manichea che loro ravvisano nel Pit tra «tradizione e innovazione»: «Il vero nemico delle nostre bellezze è l’abbandono delle colture che si può combattere soltanto favorendo lo sviluppo di un’agricoltura di qualità, capace contemporaneamente di tutelare l’ambiente e di favorire occasioni di reddito», si sostiene nel documento . Che accusa il Pit di essere viziato «da pesanti pregiudizi ideologici che rischiano di confinare la nostra agricoltura e, in particolare, la stragrande maggioranza del comparto vitivinicolo, in un ghetto residuale e di carattere quasi esclusivamente museale». Troppi vincoli.

C’è poi un terzo aspetto che nel documento dei consorzi non appare, ma è sottinteso e che Folonari rende esplicito: «Sono troppi i vincoli e le limitazioni per chi vuole sostituire il vecchio vigneto con uno nuovo o anche realizzarne di nuovi in terreni oggi incolti, stante il mercato globale del vino che per fortuna è in costante crescita», spiega il presidente degli imprenditori agricoli livornesi. In una congiuntura positiva i produttori del vino non vogliono lacci e lacciuoli alla loro voglia di investire nelle vigne. «Non accettiamo che ci vengano ad insegnare come si fa gli agricoltori», sbotta qualche signore del vino.

La Regione replica che non di vincoli si tratta ma di direttive. Questo è un punto da chiarire, sostengono i consorzi, che non accettano prescrizioni e temono anche che le direttive possano essere male interpretate dagli uffici tecnici del comuni. Falchi e colombe. Per ora siamo allo scontro, ma anche nel mondo complesso dei produttori di vino, come osserva Massimo Regoli, direttore del sito specializzato Winenews, stanno emergendo timidamente anche le colombe. «Le contrapposizioni ideologiche non servono però: i territori del vino non si salvaguardano con visioni di fazione o con polemiche politiche o economiche», spiega.

Mario Lancisi – Il Tirreno 11.9.2014

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