Suvereto, il gioiello dove il tempo si è fermato (Il Tirreno)

Suvereto, il gioiello dove il tempo si è fermato (Il Tirreno)

Suvereto punta sulla vita slow: né un supermercato né un parcheggio a pagamento. E poi olio e vino di qualità.
A Suvereto non succede mai niente, nessuno è abituato al clamore. A loro, ai 3300 abitanti inclusi quelli delle frazioni e delle campagne, piace la vita slow, lenta come i secoli passati su questo paese dalle case senza intonaco, straripante di tesori storici e architettonici. Succede talmente poco che talvolta le cose stonate hanno soluzioni anti-convenzionali, come a inizio estate quando il sindaco scrisse alla cittadinanza per invitarla a vigilare contro i piccoli ma crescenti episodi di vandalismo. «Ragazzate, certo – commenta oggi il sindaco Giampaolo Pioli -, però da tenere d’occhio perché sono sintomo di disgregazione sociale».

I raid, da allora, sono cessati. Meno male, perché qui, all’ombra della Rocca Aldobrandesca, tengono molto all’integrità e all’immagine del paese, annoverato tra i borghi più belli d’Italia e insignito della Bandiera arancione del Touring club. Ci tengono in nome di quel turismo sostenibile di cui vanno fieri, con quasi mille posti letto e nessun albergo.

Che sia un luogo d’eccezione, lo confermano altri fatti. Non c’è un supermercato. Non esistono parcheggi a pagamento. I panni asciugano appesi alle finestre. Mancano le insegne luminose. L’aura ovattata contagia persino i nomi di alcune strade: via del Fiore, via dei Giudizi, via dei Difficili, vicolo Buio, vicolo dello Sdrucciolo…

Rossano Pazzagli, professore di storia all’Università del Molise e sindaco dal 1995 al 2004, spiega così la virtuosa anomalia del paese: «Suvereto non si affaccia sul mare ed è una fortuna. Per questo la combinazione tra centro storico, territorio e sviluppo rurale si è rivelata vincente, poiché il turismo inteso come fenomeno di massa sta finendo. Non ci sono più luoghi da scoprire, ma esperienze da fare». La mistica della quantità non seduce più, è un involucro vuoto e decadente. Ben che vada sottende una scelta a corto raggio, raramente strategica: «Si pensa sempre all’offerta, mai alla domanda – aggiunge Pazzagli -. Eppure se una località diventa troppo turistica, cessa di essere appetibile».

La miscela ben dosata e senza eccessi è dunque il plusvalore di Suvereto, che nell’anno terribile dell’economia italiana vive un’estate da tutto esaurito. Già in maggio e giugno, quando sul mare c’era il vuoto, le presenze turistiche hanno registrato un perentorio +7%: «La crisi si sente ovunque – racconta il sindaco -, ma sono convinto che l’idea turistica di cui siamo portatori sia vincente». E allora avanti con la valorizzazione dei beni storici, naturali e con l’enogastronomia.

La decisione d’istituire nel 1989 la “Doc Val di Cornia” e undici anni dopo la sottozona Suvereto, ha spalancato un’autostrada. Oggi alle 26 aziende del vino, se ne aggiungono 24 di olio, che combinate ai 23 agriturismi, alle sei case vacanze e ai 18 ristoranti (quest’ultimi tenuti a proporre almeno il 50% dei prodotti locali), rappresentano l’offerta globale e unica di questo gioiello della campagna toscana: «Il turismo del vino muove ogni anno milioni di persone – spiega ancora Pioli -. È un settore in crescita, nonostante la recessione: chi arriva a Suvereto, in genere è un turista sui generis, esigente, con cultura e capacità di spesa medio-alta».

Negli ultimi cinquant’anni il paese ha cambiato pelle più volte. E non solo per il piano che ha eliminato l’intonaco da ogni facciata all’interno della cinta muraria, uniformando il colore dell’abitato e togliendo persino le conchigliette murate dagli zoccoli delle case medievali, quanto per l’attitudine degli abitanti a restare legati al territorio.

A partire dai primi anni ’60 il polo industriale di Piombino, con le sue suggestioni, fece da calamita. Molti abbandonarono l’insicurezza del lavoro nei campi per salire sui pullman che partivano a orari cadenzati, coincidenti coi turni delle fabbriche. Nessuno di loro, però, recise il legame col territorio di appartenenza. E chi si trasferiva altrove, non veniva meno alla regola di tornare in paese a ogni occasione. Potevano essere la sagra del cinghiale e il palio delle botti, le feste comandate o le sere estive raffrescate dal venticello docile. Oppure nulla, rientravano a Suvereto per affetto. Quando poi l’industria iniziò il declino, fecero presto a ripristinare il legame mai reciso, orientati da una perspicacia da cui sarebbero stati ripagati senza avarizia.

«Conoscenza, tutela, valorizzazione. Nell’ordine sono questi gli elementi su cui lavorare in nome della risorsa territorio – chiosa Pazzagli -. Il turismo va visto in prospettiva». E tuttavia, benché borgo felice, Suvereto non è un dipinto. Neppure una cartolina. Passi per il “grattacielo” di sei piani, tirato su alla bell’e meglio negli anni’60 quando l’ascensore era una sciccheria simbolo di comodità e benessere. Se in caso a stonare col paesaggio delle colline piene di ulivi e le distese di vigneti è il villaggio di Montepitti, un’autentica frazione sorta dal nulla con la scusa del turismo. Il sindaco Pioli allarga le braccia: «È una residenza turistico-alberghiera con 130-135 appartamenti. Io ne avrei fatto a meno. Vigiliamo costantemente e finora, devo dire, nulla è stato trovato al di fuori delle regole».

Ma il controllo del territorio è difficile come scalare una montagna. Dei 22 dipendenti comunali, solo due sono i vigili urbani. E se anche d’estate diventano tre, devono vigilare su un comune di 93 chilometri quadrati, il doppio di Cecina e il triplo di San Vincenzo, senza perdere d’occhio nulla, dal traffico all’edilizia. Per questo serve una coscienza collettiva ben sviluppata. In sua assenza Suvereto sarebbe un posto come tanti. Pieno di bellezze storiche e architettoniche, ma non il gioiello che è diventato.

In paese le botteghe di alimentari stanno aperte per vendere quasi solo i prodotti locali, dalla frutta al vino, dal miele ai formaggi. Luciano Lombardi, che nel retro del suo negozio di via Piave custodisce un autentico scrigno enogastronomico, odoroso per i salumi appesi a stagionare, è uno dei tanti custodi di quel vivere scrupoloso e lento in cui si condensa la fortuna di Suvereto: «A fare la spesa qui viene la gente del posto. Il nostro è come un servizio. Ma è dura. Se noi e altri chiudessimo, il centro storico si svuoterebbe». È una verità, in uno dei cento borghi più belli d’Italia dove la parola supermercato non esiste.
Antonio Valentini (inviato a Suvereto) – Il Tirreno, sezione Toscana, 23.8.2012

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