Questa zona chiede di essere riletta: scrive Rossano Pazzagli
L’asse Campiglia – San Vincenzo tra storia e governo del territorio
La strada che da Campiglia scende dolcemente verso San Vincenzo non è soltanto il cordone ombelicale che lega un antico capoluogo alla sua gemmazione recente (il Comune di San Vincenzo è stato istituito solo nel 1949). Con il suo contorno territoriale essa rappresenta anche uno degli assi sensibili della Val di Cornia, meno noto di altri, come quello orizzontale costituito dalla strada statale 398, che collega Piombino con le Colline Metallifere e l’interno della Toscana, o quello longitudinale della ferrovia e dell’Aurelia, ma altrettanto significativo e molto emblematico per i caratteri ambientali e culturali che presenta e per le contraddizioni insite nelle attività e negli insediamenti che contrassegnano questo tratto di territorio, incuneato tra Monte Rombolo e Monte Spinosa, che parte dalla Fonte di Sotto e arriva in prossimità della costa tra Rimigliano e San Vincenzo. Forse di esso non si è mai tenuto sufficientemente conto nelle analisi territoriali e nella pianificazione urbanistica comprensoriale, che si è sostanzialmente concentrata sui due predetti assi principali. Il risultato è che nella fascia di territorio cha da Campiglia degrada verso il mare è venuto attuandosi un coacervo di iniziative che in molti casi contrastano l’una con l’altra, costringendo gli amministratori locali a fare i salti mortali per indicare o giustificare improbabili compatibilità: il parco, il bosco, le cave, i resti archeologici, un’area produttiva artigianale, gli impianti per la trasformazione dei materiali dell’attività estrattiva, i radi poderi e ora anche la previsione di un villaggio turistico in quelle che Renato Fucini descriveva, verso la metà dell’800, come “poggi e valli ancora deserte e selvose…”, una propaggine del Monte Calvi che alzava “il suo cocuzzolo nudo e pietroso dinanzi al mare aperto.”
Questa zona chiede di essere riletta, a partire dai suoi caratteri ambientali e dalla sua storia. È un corridoio un po’ buio, orientato a nord-ovest, che apriva Campiglia ai venti di maestrale, proiettandola verso il Tirreno e il versante occidentale del Monte Calvi dove per secoli si sono svolte le attività estrattive e minerarie; una zona fresca e ricca di acqua, ma poco baciata dai raggi solari: una “malsana valle quasi sempre annebbiata e priva di sole” veniva definita a metà ‘500, e questo fatto ha naturalmente limitato lo sviluppo urbanistico e l’estensione delle attività agricole, praticamente concentrate nei campi di Capattoli e del Temperino, irregolari e strappati alla boscaglia dalla fatica di generazioni di agricoltori. Dal punto di vista naturalistico padroneggia la macchia mediterranea, bassa e sferzata dai venti marini, con qualche castagneto ormai scomparso e un paesaggio agrario segnato dalla coltivazione promiscua e da uno sfumato confine col bosco, come testimoniano ancora le numerose sughere che con le loro ombre scure competono con qualche uliveto argentati e macchiano i rari seminativi. È, in modo diffuso, una interessante zona archeologica, in buona parte ancora inesplorata, riflesso dell’importanza produttiva conosciuta sul lungo periodo: dai forni etruschi e romani alla metallurgia medievale, di cui Rocca San Silvestro rappresenta il punto più alto, geograficamente e storicamente; dalle attività minerarie del periodo moderno alle grandi imprese estrattive e minerarie dell’età contemporanea, che hanno inferto al territorio e al paesaggio ferite indelebili, che continuano impietosamente ad allargarsi.
L’acqua, le fonti, le miniere, gli orti, il bosco, la raccolta di frutti spontanei, il mare… un insieme di risorse che attraverso i secoli hanno orientato Campiglia verso questa zona, che gli abitanti del borgo consideravano come un bene comune, di prevalente interesse collettivo, al contrario della parte a sud del paese, più adatta all’agricoltura e all’insediamento e che infatti dal ‘700 in poi conosce sensibili processi di privatizzazione e di appoderamento, soprattutto per iniziativa di grandi proprietari terrieri nobili o borghesi. Qui no: si resta nel regno della piccola proprietà contadina, degli usi collettivi delle risorse, delle attività integrative e complementari… una sorta di economia comunitaria e popolare che crea e mantiene un paesaggio differente, per molti tratti specifico, che trova nella Madonna di Fucinaia un proprio punto di riferimento anche sul piano religioso e simbolico. Per questo ben due porte del borgo murato (quella di Sant’Antonio e quella di Pozzolungo) guardano in questa direzione. Quello che oggi, dopo lo sviluppo industriale di Piombino e la crescita commerciale di Venturina, sembra essere considerato un “dietro”, per lunghi secoli è stato invece un “davanti”: la faccia di Campiglia, la principale via d’accesso al borgo che da Firenze i Medici vedevano come “lo schudo di tutta la Maremma”. Questo ribaltamento della percezione comune non è trascurabile, perché il dietro rischia di diventare il luogo dove ammassare di tutto, alla rinfusa come in un retrobottega. Infatti si è investito nel parco minerario e nell’archeologia medievale, ma nello steso tempo si è lasciato che le cave intensificassero la loro vorace attività e che gli insediamenti produttivi continuassero a impolverare la zona, si sono restaurate le rocche e gli edifici sacri e nello stesso tempo si è pianificato l’insediamento di moderne villette alla Fonte d Sotto, in uno spazio aperto prossimo alle mura castellane e ricco di emergenze culturali e ambientali, dove il tempo ha sedimentato un armonico equilibrio tra uomo e natura, una sorta di “domesticheto” dove i campigliesi dei secoli passati potevano trovare risorse e ragioni di vita, specialmente nei periodi più critici. Una estesa indagine archeologica e di rilettura territoriale su tutta l’area compresa tra il capoluogo e il Temperino dovrebbe essere svolta prima di mettere mano a qualsiasi trasformazione urbanistica.
Nel frattempo occorre interrogarsi anche sulle prospettive. Oggi l’asse di Fucinaia e di Capattoli vede ai suoi estremi due centri urbani radicalmente diversi, antitetici sul piano della storia e dell’identità economica e sociale. Campiglia e San Vincenzo, che sono stati a lungo complementari, oggi sembrano fronteggiarsi: quale modello prevarrà? Quello delle seconde case e dell’urbanizzazione spinta che hanno fatto di San Vincenzo una specie di periferia metropolitana in riva la mare, come l’ha definita Philippe Daverio, o quello di un borgo custode delle sue tradizioni e intimamente legato al territorio rurale? Il turismo è emerso come uno dei settori della nuova economia locale; ma quale turismo? Quello intensivo dei villaggi o il turismo più diffuso (nello spazio e nel tempo) della ruralità, della cultura, dei parchi, dei centri storici, dell’enogastronomia? Perché costruire nuovi edifici quando c’è ancora un patrimonio edilizio urbano e rurale da recuperare? Sono interrogativi che non riguardano solo Campiglia, ma che parlano a tutta la Val di Cornia, un territorio particolare della Toscana che negli ultimi vent’anni è stato costretto a cercare nuove vie di diversificazione economica, dopo la dirompente crisi della grande industria siderurgica che per quasi un secolo aveva attratto capitali e soprattutto lavoro, orientando l’intera area verso il polo piombinese. Oggi, in una visione necessariamente meno polarizzata, tutte le parti del territorio devono assumere funzioni proprie e differenziate, possibilmente coerenti con le risorse disponibili e le vocazioni naturali e storiche dei territori.
Ma la diversificazione non può significare fare un po’ di tutto, non può essere un minestrone, né un indistinto sviluppo composito ottenuto per addizione. Non si può aggiungere sempre. Ancor meno se ci si colloca in una prospettiva di sviluppo sostenibile, nuovo obiettivo ormai sempre dichiarato come chiave che apre tutte le porte, ma non ancora realmente praticato, né per quanto concerne il concetto di limite e il vincolo delle risorse, né sotto l’aspetto dell’irrinunciabile dimensione sociale e politica della partecipazione di tutti coloro che hanno diritto di parola sulle scelte che riguardano il futuro del territorio e dell’ambiente.
Le vicende urbanistiche della Fonte di Sotto e quelle sempre più incombenti delle cave, che contrastano apertamente con la strategia di valorizzazione dei beni culturali e di riqualificazione ambientale rappresentata dal Parco archeominerario di San Silvestro e del Temperino, pongono problemi urgenti non soltanto a Campiglia, ma a tutta la Val di Cornia e forse, nel loro piccolo, possono costituire un tassello del più ampio dibattito che sta investendo la Toscana per quanto riguarda il complesso rapporto tra territorio e sviluppo. Ecco perché i problemi di questo asse territoriale, ingiustamente considerato secondario, potrebbero diventare un caso interessante di sperimentazione di un più avanzato modello di governo del territorio: dimostrare che è possibile rileggere davvero il territorio e rivedere le scelte compiute quando queste contrastano con le sensibilità, i metodi e i bisogni collettivi di un tempo che cambia. Sarebbe un esperimento locale che assumerebbe certamente anche un valore più generale.
Rossano Pazzagli
Storico
Università del Molise
Istituto di Ricerca sul Territorio e l’Ambiente “Leonardo” – Pisa