La lapide della discordia non è un falso e resta dov’è (Il Comune)

L’assessore Jacopo Bertocchi inizia una prima indagine a seguito delle informazioni riportate dal Tirreno e dalla Nazione del 6 febbraio (dichiarazioni del parroco don Marcello Boldini e del proprietario della casa).

La lapide della discordia resta dov’è – Continua la guerra delle traduzioni
Il Comune risponde al Comitato per Campiglia che ne aveva chiesto la rimozione. Le ricerche svolte dall’assessore confermano la presenza del Granduca nella casa di via Parenti nel 1830

È guerra di traduzioni. E di esperti che stanno studiando la lapide apparsa nel cuore di Campiglia. La lapide della discordia, quella che ricordava la permanenza di Leopoldo II nella casa di via Parenti.

A studiare la faccenda, a tradurre di nuovo il contenuto della lapide, a trovare riferimenti storici, ci ha pensato l’assessore alla Cultura Jacopo Bertocchi con la collaborazione di Gianluca Camerini dell’Archivio diocesano, del professor Cavicchi e di don Marcello Boldrini, parroco di Campiglia. E dopo tre giorni di studi “matti e disperatissimi”, l’assessore è arrivato al cuore del problema: quella lapide non si tocca. Sta bene lì dov’è. «A prescindere dalla traduzione, non del tutto corretta fornita dal latinista incaricato dal Comitato per Campiglia – spiega Bertocchi – la lapide ha tutte le caratteristiche per essere esposta là dove si trova. Cade dunque la prima accusa verso i dirigenti dell’ufficio che hanno dato l’autorizzazione al signor Farina». A supportare la tesi dell’assessore c’è la tradizione orale, quella tramandata tra i parroci di Campiglia fino alla metà del ’900 che riconosceva a tale iscrizione un’importanza non trascurabile. Ma ci sono poi altri elementi che farebbero di quella lapide un vero reperto storico e non un falso: don Camillo Mori era originario di Castagneto ed è stato parroco di Campiglia dal 1827 al 1847. «L’ipotesi che la lapide possa provenire da Grosseto è esclusa anche dal fatto che – aggiunge Bertocchi – riferendosi alla via Emilia sulla lapide è scritto “inde”, cioè da lì. Chi scrive non si trovava a Grosseto ma a Campiglia. È poi improbabile se non impossibile, supporre che la lapide provenga da un luogo diverso da Campiglia perché, in quel caso, don Camillo Mori non si sarebbe firmato semplicemente praepositus ma avrebbe scritto “Praepositus Campiliae”». L’assessore contesta poi il fatto che quella lapide sia scritta in un latino non proprio corretto. «Il latino della lapide è un latino colto ed elegante – dice – che si confà alla cultura di un sacerdote dotto come il canonico Camillo Mori. La traduzione del Comitato, nel passaggio chiave, è evidentemente errata e priva di senso. Non dice “trascurò volentieri questa sua casa”, ma la traduzione corretta è “entrò come ospite, di sua iniziativa, in questa casa, avendo trascurato la sua” cioè “preferendola alla sua”, con evidente riferimento al vicino palazzo di Magona, che all’epoca della bonifica della Maremma era una delle residenze di Leopoldo II». La posizione del Comune, a questo punto, sembra più che chiara: quella lapide resterà dov’è. «Invito comunque chiunque abbia dubbi in proposito – dice Bertocchi – a contattarmi, per amore della cultura, ma anche la per il nostro patrimonio storico e per l’orgoglio di vivere in questa terra».

FRANCESCA GORI
Il Tirreno  9.2.2010

Bertocchi: «La lapide non è un falso»

L’ASSESSORE alla cultura, Jacopo Bertocchi, replica al Comitato per Campiglia sulla questione dell’autenticità della lapide apposta su un muro di un’abitazione di via Parenti. «A prescindere dalla traduzione, non del tutto corretta, fornita dall’esperto latinista “incaricato” dal Comitato, l’iscrizione in oggetto ha tutte le caratteristiche per essere esposta là dove si trova. Cade dunque la prima “accusa” verso i dirigenti dell’ufficio. A supporto dell’importanza storica del reperto, possiamo dire che fino alla metà del ‘900 esisteva una tradizione orale, tramandata tra i parroci di Campiglia, che riconosceva a tale iscrizione un’importanza non trascurabile.

ALLA LUCE dei fatti affermare che la lapide possa essere un falso, risulta essere, oltre che offensiva, priva di ogni fondamento: 1) Esistono molti altri esempi di iscrizioni apposte in quel periodo, nei vari paesi della Maremma, che avevano lo scopo di ricordare il passaggio del Granduca o di celebrare il compimento di un’opera da lui ordinata nell’ambito dei lavori di bonifica. 2) Grosseto non c’entra proprio nulla né con la provenienza della lapide, tantomeno con Don Camillo Mori, originario di Castagneto e parroco di Campiglia dal 1827 al 1847. 3) L’ipotesi che la lapide possa provenire da Grosseto è esclusa anche dal fatto che, riferendosi alla via Emilia si scrive inde, cioè “da lì” per indicare un moto da luogo. 4) Improbabile poi, se non impossibile, supporre che la lapide provenga da un luogo diverso da Campiglia perché, in quel caso, don Camillo Mori non si sarebbe “firmato” come Praepositus ma avrebbe scritto Praepositus Campiliae. 5) La presenza di Leopoldo II a Grosseto non esclude il fatto che il Granduca fosse a Campiglia il 30 aprile 1830».

La Nazione 9.2.2010

La lapide in via Parenti rimane. Il Granduca soggiornò in quella casa.

In relazione alle notizie apparse sulla stampa in merito ad una lapide affissa recentemente in via Parenti, a ricordo del soggiorno del Granduca Leopoldo II, pubblichiamo integralmente la risposta dell’assessore alla cultura Jacopo Bertocchi che ha approfondito l’argomento attraverso una puntuale ricerca.

Tenuto conto dell’importanza e della gravità delle affermazioni da parte del Comitato per Campiglia, scrivo oggi per dare un chiarimento ai lettori e ai cittadini di Campiglia. Ancor prima di organizzare la ricerca, sono stato contattato da un gruppo di studiosi che spontaneamente aveva già approfondito la questione. Mi sembra doveroso dunque ringraziare, a nome dell’amministrazione, dei cittadini di Campiglia e dei turisti amanti dei nostri tesori, il Dott. Gianluca Camerini (archivista diocesano), il Prof. Piero Cavicchi e Don Marcello Boldrini (parroco di Campiglia Marittima).

Sapiens, ut loquatur, multo prius consideret -Il saggio, per parlare, deve prima molto meditare

A prescindere dalla traduzione, non del tutto corretta, fornita dall’esperto latinista “incaricato” dal Comitato per Campiglia, l’iscrizione in oggetto ha tutte le caratteristiche per essere esposta là dove si trova. Cade dunque la prima “accusa” verso i dirigenti dell’ufficio che hanno dato l’autorizzazione al Sig. Farina. A supporto dell’importanza storica del reperto, possiamo iniziare a smontare le tesi presentate, a partire dal dato che fino alla metà del ‘900 esisteva una tradizione orale, tramandata tra i parroci di Campiglia (vedi don Gaetano), che riconosceva a tale iscrizione un importanza non trascurabile. Alla luce dei fatti e della breve indagine condotta dai sopracitati “avvocati della difesa”, possiamo quindi affermare che l’ipotesi che la lapide possa essere un falso, risulta essere, oltre che offensiva, priva di ogni fondamento:

-1) Esistono molti altri esempi di iscrizioni apposte in quel periodo, nei vari paesi della Maremma, che avevano lo scopo di ricordare il passaggio del Granduca o di celebrare il compimento di un’opera da lui ordinata nell’ambito dei lavori di bonifica (una di queste fu collocata nel 1831 su uno dei parapetti del ponte di Cornia)

-2) Grosseto non c’entra proprio nulla né con la provenienza della lapide, tantomeno con Don Camillo Mori, originario di Castagneto e parroco di Campiglia dal 1827 al 1847.

-3) L’ipotesi che la lapide possa provenire da Grosseto è esclusa anche dal fatto che, riferendosi alla via Emilia (“amplissima magnifica via”) si scrive inde, cioè “da lì” per indicare un moto da luogo. Chi scrive dunque, non si trovava a Grosseto ma a Campiglia.

-4) Improbabile poi, se non impossibile, supporre che la lapide provenga da un luogo diverso da Campiglia perché, in quel caso, don Camillo Mori non si sarebbe “firmato” semplicemente come Praepositus ma avrebbe scritto Praepositus Campiliae.

-5) La presenza di Leopoldo II a Grosseto (confermata proprio dalla stessa lapide), attestata nel libro al quale si fa riferimento nell’articolo, ovvero, “Il governo di famiglia in Toscana. Memorie del granduca Leopoldo II di Lorena”, non esclude il fatto che il Granduca fosse a Campiglia il 30 aprile1830.

Traduzione corretta:

“Nell’anno 1830, il 30 aprile, Leopoldo II Granduca di Toscana, Arciduca d’Austria, magnanimo principe, avendo ordinato che si facesse un canale per la deviazione delle acque laddove si trova la palude di Grosseto, venuto per vedere la costruzione della memoranda opera e l’amplissima magnifica via da lì aperta, entrò come ospite, di sua iniziativa, in questa casa, avendo trascurato la sua (preferendola alla sua) [his aedibus ultro / suis posthabitis / hospes successit] e si trattenne per tre giorni con molta generosità, il parroco Camillo Mori, onorato da tanta benevolenza, pose
questa lapide in memoria”.

Commento

La prima inesattezza sulla quale si rende necessario fare chiarezza, riguarda l’introduzione alla traduzione. Per “latino volgare” si intende esclusivamente quello parlato dal popolo ai tempi dell’antica Roma, al contrario da quanto scritto su “Il Tirreno”, quello della lapide è un latino colto ed elegante, che si confà alla cultura di un sacerdote dotto come il Canonico don Camillo Mori.La traduzione presente nell’articolo, nel passaggio chiave, è evidentemente errata e priva di senso cosa significa che il Granduca “trascurò volentieri questa sua casa”?. L’ablativo assoluto erroneamente visto in “his aedibus suis posthabitis”, è invece solo in “suis posthabitis”, mentre “his aedibus” è un semplice dativo retto da “successit” . La traduzione corretta è: “entrò come ospite, di sua iniziativa, in questa casa, avendo trascurato la sua” cioè “preferendola alla sua”, con evidente riferimento al vicino palazzo di Magona, che all’epoca della bonifica della Maremma era una delle residenze di Leopoldo II.

Vasa inania multum strepunt – I vasi vuoti fanno un gran rumore

Mi  preme ricordare al Comitato che l’amministrazione non si è mai negata ad alcun confronto, meno che mai su temi che riguardano la cultura. Prima di creare polemiche vane e occupare spazi su un mezzo di comunicazione, sarebbe meglio parlarne. Rinnovo dunque l’invito a contattarmi a chiunque abbia dubbi in proposito e concludo dicendo che l’amore per la cultura e per il nostro patrimonio storico, così come l’orgoglio di vivere in questa terra, ci proteggono da qualsiasi figuraccia!!!

Jacopo Bertocchi
Assessore alla cultura

(Tratto dal sito del Comune di Campiglia Marittima)

 

 

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