Gli ecomostri toscani di Mare Monstrum
Legambiente ha presentato oggi il suo rapporto annuale “Mare Monstrum” e come sempre una parte è dedicata agli ecomostri vecchi e nuovi lungo le coste toscane, ma sarebbe meglio dire livornesi e dell’Arcipelago, visto i casi che il Cigno Verde ha voluto sottolineare nel suo dossier.
Ecco cosa si legge nel capitolo toscano di “Mare Monstrum”:
Le coste toscane, soprattutto quelle di maggior pregio, sono sempre state una naturale attrattiva per speculazioni edilizie di ogni tipo, anche fuori legge. L’affaccio al tirreno dalla sponda toscana spinge gli abusivi del cemento a operazioni scellerate, soprattutto in alcuni dei luoghi più gettonati dai turisti e dagli amanti del mare. A farne le spese, come dimostrano le indagini passate e recenti, sono infatti principalmente l’Arcipelago Toscano, l’Argentario e la Versilia. Una “pressione” illegale confermata anche nel 2012 dal numero di reati accertati dalle forze dell’ordine nel ciclo del cemento: la Toscana resta tra le più colpite, mantenendo il 6 posto con 153 infrazioni (il 5,3% sul totale nazionale), subito dopo le quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa e la Sardegna.
Tra le tante vicende giudiziarie che hanno riguardato la costa, è da segnalare l’operazione che nell’estate del 2012 ha portato il Corpo forestale dello Stato a scoprire – grazie alle rilevazioni aeree – un immobile completamente abusivo sorto nel cuore della Maremma, in una posizione molto panoramica vicino al Monte Argentario. Un territorio in cui lo scorso febbraio il Gip del tribunale di Grosseto è stato addirittura costretto a emettere un “obbligo di non dimora nel proprio comune”, che è appunto quello di Monte Argentario, per la moglie di un noto immobiliarista toscano coinvolto più volte in vicende di abusivismo edilizio. Per questa ragione, il giudice le ha prescritto “di non dimorare nel luogo di residenza ove insistono gli abusi e di non accedervi senza la sua stessa autorizzazione, al fine di prevenire la reiterazione dell’illecito”.
Dall’Argentario alla Versilia, il 23 aprile scorso la procura ha chiesto 5 condanne per il lavori, ritenuti dagli inquirenti illegittimi, di trasformazione dell’ex discoteca Tropicana di Massarosa in alcuni appartamenti. Tra gli indagati, due tecnici del Comune, professionisti e imprenditori, che avrebbero eseguito i lavori senza rispettare le norme urbanistiche comunali. Secondo i progetti in corso d’opera, negli spazi dell’ex discoteca avrebbero dovuto trovare spazio 14 appartamenti e due negozi per un presunto valore immobiliare attorno ai 4 milioni di euro.
In questo territorio, tra i più apprezzati di tutta le regione, il frequente ricorso all’abusivismo edilizio ha spinto il comune di Camaiore a emanare negli ultimi mesi diverse ordinanze di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, mentre i controlli sul litorale hanno portato a numerosi interventi di polizia giudiziaria, tra ampliamenti illeciti e nuovi immobili sorti senza alcuna autorizzazione. Tra questi anche un hotel, a cui era già stato ordinato lo stop di lavori a causa di abusi edilizi rilevati dalla polizia municipale, relativi alla realizzazione di un appartamento per ogni piano, insieme a balconi, terrazzi, cancellate e scale esterne. Spostandosi in provincia di Lucca, a metà aprile la procura ha posto sotto sequestro ben 46 bungalow di un campeggio di Torre del Lago, all’interno del Parco di San Rossore. Secondo l’inchiesta portata avanti dal pubblico ministero Antonio Mariotti, i gestori del campeggio avrebbero realizzato i bungalow – veri e propri miniappartamenti di varie metrature dotati di ogni comfort e allacciati sia alla rete idrica che alla rete del gas – pur non avendo né tutte le autorizzazioni edilizie necessarie né le autorizzazioni paesaggistiche indispensabili in una zona protetta.
Isola d’Elba: tra vecchi processi e nuovo cemento (Li)
Continua a fare discutere in regione l’annosa vicenda di “Elbopoli”, lo scandalo giudiziario che nell’estate del 2003 ha portato alla luce una holding affaristica ramificata anche dentro le amministrazioni locali. Nel processo che ne è seguito, infatti, sono stati coinvolti un giudice, un prefetto, due costruttori pistoiesi, un tecnico e un ex amministratore comunale del Comune di Marciana. Secondo l’accusa avrebbero impedito il sequestro di cantieri irregolari o ne avrebbero favorito la realizzazione.
Sotto osservazione dei magistrati la costruzione del cosiddetto ecomostro di Procchio e l’intera speculazione edilizia della Costa dei Barbari a Cavo (Comune di Rio Marina). Nel febbraio scorso, nell’ambito di questa vicenda la Corte d’appello di Genova ha condannato per corruzione in atti giudiziari l’ex Prefetto di Livorno Vincenzo Gallitto e l’ex capo dei Gip livornesi Germano Lamberti, insieme ai 2 costruttori. La difesa ha annunciato il ricorso in Cassazione. I giudici di secondo grado hanno anche applicato sanzioni accessorie di legge e condannato gli imputati al risarcimento dei danni alle parti civili. L’inchiesta aveva coinvolto in totale 8 persone, imputate a vario titolo di una serie di reati tra i quali corruzione, peculato e favoreggiamento nell’ambito di speculazioni edilizie.
Vecchia conoscenza di questo dossier, ciò che è conosciuto ai più come ecomostro di Procchio è l’enorme scheletro in cemento nel comune di Marciana che sarebbe dovuto diventare un centro servizi, con tanto di uffici, negozi, garage e appartamenti. I lavori iniziarono, però, ignorando il chiaro rischio idrogeologico in una zona attraversata da diversi fossi, subito dopo l’alluvione del 2002, evento che già allora mandò l’intera area sott’acqua. Incuranti dei vincoli, i promotori dell’iniziativa immobiliare hanno messo su circa 7.500 metri cubi di cemento grezzo, che tali sono rimasti. Secondo Legambiente Arcipelago Toscano, “la sentenza genovese getta un’ulteriore e pesante ombra sulla vicenda dell’ecomostro, e su come è stata gestita l’intera operazione urbanistica che avrebbe dovuto condurre al recupero dell’area interessata, e non alla ricostruzione di una tale struttura a pochi metri di distanza in un’area finita sott’acqua negli alluvioni del 2002 e del 2011 e che verrà messa in sicurezza solo con l’esborso di milioni di euro pubblici”.
Non a caso, dopo l’ultima alluvione che ha colpito l’Elba nel novembre del 2011, provocando ingenti danni a Marina di Campo e allagando completamente la stessa zona dell’ecomostro e la Piana di Procchio, il sindaco di Marciana, Anna Bulgaresi, e l’assessore all’ambiente della Regione toscana, Anna Rita Bramerini, hanno deciso che fosse arrivato il momento di abbattere finalmente l’ecomostro e riqualificare l’intera area. Demolizione che, dopo vari rinvii, ha preso il via questa primavera, con una delibera che, partendo proprio dalle criticità dell’area, ha posto l’accento sulla “definizione di un progetto generale di mitigazione del rischio idraulico che assuma quale criterio guida, per quanto ancora tecnicamente realizzabile, il ripristino dell’originario reticolo di deflusso idraulico preesistente alla diffusa urbanizzazione degli ultimi decenni”. A questo punto, almeno per il momento, appare scongiurato il rischio che la messa in sicurezza dell’area passi anche attraverso la costruzione di un ecomostro, vecchio o nuovo che sia.
Uno dei casi più recenti di cemento selvaggio lungo il litorale toscano risale, invece, alla fine nel maggio 2013, quando il Corpo forestale dello Stato ha messo i sigilli all’enorme ampliamento di un piccolo rudere sulla costa che porta alla spiaggia di Galenzana, in provincia di Livorno, con le splendide dune che si affacciano nella fitta macchia mediterranea. Il tutto in un’area costiera in chiaro dissesto idrogeologico, soggetta a vincolo paesaggistico, a poche decine di metri in linea d’aria dai confini del Parco nazionale dell’Arcipelago toscano, contigua ad altre zone vincolate come Sic (in particolare il Sic/Zps/Zsc IT5160012) e al Sir 58 di Monte Capanne e Promontorio dell’Enfola. Il sequestro eseguito dalla Forestale mette in luce l’“ampliamento”, molto più grande del piccolo rudere originario, ma anche l’esecuzione di lavori non autorizzati di spostamenti di roccia e terreno, compresa la realizzazione di una grossa platea di cemento praticamente a picco sulla costa. Il sequestro è arrivato a seguito di diverse segnalazioni di Legambiente su alcuni cantieri “dubbi” presenti nell’intera zona: l’ultima delle quali risale allo scorso 21 marzo e ha costretto il Comune di Campo nell’Elba a registrare diverse irregolarità edilizie. Eppure, nonostante le segnalazioni di cittadini e ambientalisti i lavori proseguono a ritmi serrati, causando danni irreparabili, in un contesto dove appaiono deficitari i controlli da parte delle istituzioni locali.
Le “case mobili” della costa Etrusca (Li)
Lungo un bel tratto boschivo sulla litoranea di Donoratico, in provincia di Livorno, direttamente sul mare dove fino a 12 anni fa era situato il primo Club-Mediterranee in Italia, c’è in ballo un progetto per l’installazione di 650 “case mobili”, ciascuna di circa 45 metri quadrati, con tanto di allacci per luce, acqua e gas. Progetto che incombe su un’area di circa 40 ettari di grande pregio ambientale, tanto da essere tutelata dalla Regione Toscana e dalla Sovraintendenza di Pisa, dove al suo interno esistono delle delicate e bellissime dune, una fascia pineta che insiste direttamente sul mare, oltre a una importante lecceta con a ridosso una zona agricola altrettanto bella.
Qui infatti è stato autorizzato dall’Amministrazione comunale di Castagneto Carducci il posizionamento delle 650 casette, che dovranno essere cementate a delle piazzole, che richiederanno importanti opere di scavi per il passaggio dei servizi, con evidenti rischi di sfregiare irreparabilmente l’habitat costiero. Progetto che risulta essere il più corposo come dimensionamento di tutta la Toscana e che perfino contraddice l’orientamento del PIT regionale che indica chiaramente che tali interventi dovrebbero essere delocalizzati in zone meno delicate all’esterno della zona litoranea. Un intervento che ha comunque alle spalle una storia lunga, che risale almeno agli anni 90, cioè da quando l’Amministrazione comunale si accorse che nell’ex Club Mediterranee degli esistenti 650 bungalow oltre 400 erano del tutto abusivi.
Accanto ai problemi di abusivismo edilizio si sommavano anche lo scarico di liquami non conforme e una situazione economica critica che porteranno alla chiusura dell’attività. Dopo l’ingiunzione di abbattimento emessa dal Comune, la proprietà presentava ricorso al Tar, che di fatto consentì di continuare l’attività per altri 5 anni. Dopo la chiusura decisa dalla proprietà, l’area venne acquistata dai fratelli Fratini, famosi immobiliaristi fiorentini, per avviare un progetto edilizio che però venne subito abbandonato, vista la pendenza degli abusi. Nel 2011 i Fratini girano a loro volta la proprietà a una gruppo di imprenditori locali che, dopo aver studiato legalmente la situazione, decidono di trasformare la struttura in campeggio con “case mobili”. Che in realtà di effettivamente mobile non hanno niente, visto che sono destinate a diventare a tutti gli effetti delle casette di legno fisse, tanto che sono previste le necessarie opere di urbanizzazione.
Prima di realizzare l’intervento, la proprietà, in accordo con l’Amministrazione comunale, ha deciso di fare abbattere, come atto dovuto, i 400 vecchi bungalow abusivi, facendo così largo alle 650 casette in legno. Con la beffa che il nuovo intervento prevede strutture che saranno cinque volte più grandi delle vecchie, avendo come misura minima 45 metri quadrati. Al di là delle parole e della qualifica urbanistica delle casette, sembra chiaro che si tratta di una lottizzazione a tutti gli effetti, in un’area certo non adatta per ospitare interventi di questo tipo.
Lo Spalmatoio di Giannutri (Gr)
Nessuna novità rispetto all’ecomostro sull’isola di Giannutri che Legambiente da anni inserisce in questo dossier. A novembre del 2009 un articolo del quotidiano La Nazione riportò in luce la vicenda. Il sindaco, secondo il quotidiano, sarebbe stato intenzionato a definire con la società titolare degli immobili la pratica di condono dell’ecomostro, la cui vicenda giudiziaria si trascina, stancamente, da oltre trentacinque anni. Parliamo di una lunga fila di fatiscenti immobili in cemento armato, per circa 11 mila metri cubi, che da decenni fa bella mostra di sé nell’insenatura dello Spalmatoio a Giannutri, piccola isola che fa parte del Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano.
Delle costruzioni, iniziate negli anni ’80 senza regolare concessione edilizia dalla società Val di Sol e poi interrotte, rimangono oggi alcuni scheletri in cemento e qualche villetta in completo stato di abbandono.Essendo all’interno di un Parco nazionale, più che di condono al massimo si potrebbe parlare di “recupero”, anche se i manufatti in questione sono e restano abusivi. Attualmente la proposta di accordo del Comune con i proprietari sarebbe quella di abbattere tutte le costruzioni singole non ancora completate e realizzate sulla punta posizionata a nord est della cala Spalmatoio. A questo punto, però, resterebbe in piedi ben poco: si potrà completare solo la costruzione di alcune unità immobiliari a schiera, parte delle quali andrà ceduta al Comune per insediare uffici comunali e altre strutture di pubblico interesse.