Cultura, diritti, democrazia. Ecco le 15 idee di Salvatore Settis per l’Italia
Il mondo della cultura scende in campo. left organizza un convegno attorno alla figura di Salvatore Settis. L’archeologo della Normale di Pisa affida a left il suo “manifesto”, che è stato presentato a Roma giovedì 30 maggio al teatro Eliseo
Guarda il video con l’intervento di Salvatore Settis
Oratori:
Fabrizio Barca, Pippo Civati, Michele Dantini, Vittorio Emiliani, Vladimiro Giacchè, Ernesto Longobardi, Gennaro Migliore, Massimo Monaci, Tomaso Montanari, Andrea Ranieri, Maria Letizia Sebastiani, Renato Soru, Carlo Testini, Adriano Zaccagnini, Teatro Valle Occupato
Le 15 idee di Settis:
- La crisi della democrazia rappresentativa, presente ovunque, è particolarmente grave in Italia, a causa di due peculiarità del suo sistema politico: la legittimazione di un leader (Berlusconi) che non avrebbe titolo a esser tale sia per i conflitti di interesse che per i reati comuni di cui è accusato, e una legge elettorale (il Porcellum) iniqua e anticostituzionale.
- Un governo di “larghe intese”, che capovolge il responso delle urne, aggrava ulteriormente questa crisi, inseguendo l’impossibile modello di una democrazia senza popolo.
- La natura estrema di questa crisi non colloca l’Italia fuori dal contesto mondiale. Al contrario, ne fa un caso-limite (per ciò stesso esemplare) di crisi della democrazia. Quello che accadrà in Italia (la vittoria della casta politica contro l’elettorato, o la riscossa dei cittadini) è perciò di grande rilevanza nel quadro globale. Grande è la nostra responsabilità.
- Ingranaggio-chiave della crisi della democrazia è la dominanza dei mercati, cioè di persone, gruppi di interesse, lobby bancarie e finanziarie che determinano il corso dell’economia. Queste oligarchie, in quanto sfuggono ad ogni controllo democratico, sono la vera e sola “antipolitica”. L’Europa si è ridotta a essere il territorio di caccia di queste oligarchie e tecnocrazie, e le scelte politiche italiane viaggiano con questo «pilota automatico», secondo la frase di Mario Draghi. Su questa tendenza si sono appiattite in Italia tanto la destra quanto la “sinistra”, che ha con ciò rinunciato alla propria missione storica di difensore dei diritti dei cittadini, nascondendosi dietro un passivo “ce lo chiede l’Europa”.
- La dominanza dei mercati, con la complicità della politica, genera (in Italia come altrove) un’“austerità” che non crea ricchezza, ma la concentra nelle mani di pochi; pone il lavoro e la dignità della persona al servizio del mercato; mortifica libertà e uguaglianza comprimendo la spesa e i servizi sociali; innesca disoccupazione, disagio sociale, emarginazione, povertà.
- L’anestesia che ci viene proposta come “pacificazione” o “responsabilità” consiste non solo nell’annientare le differenze fra “destra” e “sinistra”, ma anche nel chiudere gli occhi davanti ai problemi dei cittadini in ossequio alla dittatura dei mercati. Questa è stata la base del “governo tecnico”, fase di rodaggio delle “larghe intese” oggi all’opera. Ma gli inviti all’amnesia vanno respinti perché sono contro gli interessi dei cittadini e contro la legalità costituzionale.
- Il progetto di “democrazia senza popolo” sussiste perché l’antica funzione dei partiti come luogo di riflessione e di progettazione è morta. Quel che resta degli apparati di partito si è trasformato in un macchinario del consenso, fondato sulla perpetuazione dei meccanismi e delle caste del potere.
- Una parte larghissima del Paese esprime una radicale opposizione a questo corso delle cose. Lo fa secondo modalità diverse, anzi divergenti: (a) la sfiducia nello Stato e il rifugio nell’astensionismo; (b) gesti individuali di protesta (fino al suicidio); (c) vasti movimenti che tendono alla rappresentanza parlamentare e alla forma-partito, come il M5s; (d) piccole associazioni di scopo, dichiaratamente non-partitiche, per l’ambiente, la salute, la giustizia, la democrazia. Queste ultime sono ormai alcune decine di migliaia, e coinvolgono non meno di 5-8 milioni di cittadini. È a partire dall’autocoscienza collettiva generata da questo associazionismo diffuso (ma anche nei sindacati) che si può avviare la necessaria opera di restauro della democrazia.
- Queste forme di opposizione “vedono” quel che sembra sfuggire a chi ci governa: il crescente baratro che si è aperto fra l’orizzonte delle nostre aspirazioni e dei nostri diritti e le pratiche di governo. Tuttavia, le associazioni e i movimenti, pur generando anticorpi spontanei alle pratiche antidemocratiche, stentano a trovare un denominatore comune, un manifesto che possa tradursi in azione politica.
- Questo manifesto esiste già. È la Costituzione della Repubblica. Essa va studiata e rilanciata come la Carta dei diritti della persona e della collettività, che corrisponde in grandissima parte all’orizzonte delle aspirazioni e agli anticorpi spontanei della protesta.
- Costituzione alla mano, l’universo dei movimenti e delle associazioni si può rivelare a un tempo stesso come il sintomodi un malessere e la cura della democrazia italiana. Sintomo, perché mette allo scoperto il carattere anti democratico della politica “ufficiale”. Cura, perché i movimenti sono un serbatoio di idee, di elaborazioni, di progetti, di riflessioni, nell’esercizio del diritto di resistenza (che, secondo la Costituzione della Repubblica Partenopea del 1799, è «il baluardo di tutti i diritti»).
- Questa forma di resistenza civile in nome del bene comune (che la Costituzione definisce “interesse della collettività” o “utilità sociale”) va intesa come adversary democracy: e cioè come l’esercizio pieno della cittadinanza, che non si esaurisce nel voto, ma si estende a una continua vigilanza critica e capacità propositiva. Essa non sostituisce la rappresentanza politica, ma si affianca ad essa, la controlla e la stimola. Non è contro la democrazia: al contrario, intende salvare la democrazia mediante la partecipazione dei cittadini, secondo il disegno della Costituzione.
- La Costituzione non va intesa come una litania di articoli staccati, ma come una salda architettura di principi, coerente e inscindibile. L’adversary democracy va esercitata partendo simultaneamente dalla consapevolezza dei propri diritti e dalla difesa della legalità costituzionale. In nome della Costituzione vanno rimesse in onore le vittime sacrificali della presente dittatura dei mercati: le regole della politica e i pilastri del progresso sociale (politiche del lavoro, welfare state, diritto alla cultura e alla salute).
- Nel crepuscolo della democrazia, è possibile, desiderabile, necessario ripartire dai movimenti per riformare i partiti e i sindacati, per ricreare la cultura politica che muove le regole.
- Salvaguardare la Costituzione negando legittimità a qualsivoglia “Costituente” autonominatasi è precondizione necessaria del ritorno a una piena democrazia costituzionale. È urgente, piuttosto, l’alfabetizzazione costituzionale dei cittadini, simile a quella promossa dal ministero per la Costituente (governi Parri e De Gasperi, 1945-46). Perché «ogni legislatore dev’esser guidato, sorretto, confortato dalla coscienza del suo popolo» (A.C. Jemolo).
L’analisi di Renzo Moschini – Gruppo di San Rossore:
Le 15 idee di Salvatore Settis e il documento del PD sull’ambiente
La rivista Left ha pubblicato le ‘Quindici idee per l’Italia’ di Salvatore Settis, che saranno presentate il 30 maggio all’Eliseo a Roma. Segue un articolo di Simona Maggiorelli su Cultura bene comune. Alle spalle di questi sempre più incalzanti interventi del mondo culturale sulle istituzioni e la politica sta una consolidata rete di comitati e movimenti impegnati a dare la sveglia a chi governa a tutti i livelli. Insomma, non l’ambizione di sostituire la politica ma di affiancarla ‘per riformare i partiti e i sindacati, per ricreare la cultura politica che muove le regole’.
Al centro vi sono i problemi riconducibili principalmente al ministero dei Beni culturali che oggi dopo le gestioni rovinose degli ultimi anni vede il nuovo ministro Bray «solo contro tutti’ in mezzo – scrive Tomaso Montanari – a colleghi apostoli della cementificazione».
E’ singolare però che le stesse giustissime e sferzanti critiche non riguardino e non si estendano al ministero dell’Ambiente, che di colpe e competenze non ne ha certo di minori, vuoi nella gestione del suolo, dell’ambiente, del consumo del territorio e così via. Si ripropone qui una delicata e non nuova questione normativo-istituzionale su cui persiste qualche ambiguità o comunque scarsa chiarezza, dal momento che la condizione sine qua non per riuscire a impegnare la politica nel governo del territorio non più all’insegna della cementificazione e dei condoni richiede quella ‘leale collaborazione istituzionale’ a cui puntava – come abbiamo visto con scarso successo – il nuovo titolo V della Costituzione. Una collaborazione indispensabile innanzitutto per evitare che materie e discipline riconducibili a competenze diverse, non soltanto ministeriali ma anche tra i vari e sempre più traballanti livelli istituzionale, ritrovino finalmente percorsi non separati ma programmabili e pianificabili.
Prendiamo il caso delle soprintendenze, impoverite e malridotte. Il nuovo codice dei beni culturali che risale a non molti anni fa sembra salvarsi da qualsiasi critica, e non soltanto in questo caso. Eppure risale a quel codice la decisione in materia di paesaggio con la quale ai piani dei parchi è stata sottratta qualsiasi competenza stabilita da una legge del 91 e che sicuramente non era tra le cause dei gravi ritardi nella messa a punto di quei piani paesaggistici ai quali semmai i parchi qualche contributo l’avevano dato, come possiamo vedere in Toscana e non solo. Quell’impegno delle aree protette ben rispondeva d’altronde alla esigenza posta chiaramente anche dalla Convenzione europea del paesaggio, che richiama non certo a caso un nuovo ruolo delle comunità locali, delle quali sono espressione anche i parchi e le aree protette.
Quella ‘sottrazione’ di competenza si aggiunge alle molte altre che in particolare il ministero dell’Ambiente ha cercato – e in molti casi purtroppo con successo – di riprendersi a danno delle regioni e degli enti locali, in barba alle norme costituzionali. Il che naturalmente non assolve le regioni e gli enti locali da loro precise e incontestabili responsabilità. Ma conferma che la risposta che rivendicano con forza Settis e i comitati passa non da una rivincita della stato centralista ma da una nuova capacità complessiva – su un piano di effettiva pari dignità – del nostro sistema istituzionale, oggi impegnato in un paralizzante contenzioso costituzionale che ha prodotto solo il raddoppio dei ricorsi dello Stato contro le regioni e delle regioni contro lo Stato. Se nelle 15 idee per l’Italia anche questo aspetto non risulterà chiaro avremo perso un’altra occasione.
In concomitanza con le proposte di Settis, i Deputati e i Senatori del Pd hanno pubblicato un documento su ‘L’ambiente al centro’ che già nel titolo suona – non sappiamo se volutamente – autocritico, considerato che già in campagna elettorale l’ambiente è stato come sappiamo del tutto snobbato. Non solo, ma nell’impegno parlamentare della passata legislatura in più d’un caso o lo si era anche lì ignorato o – peggio – era stato affrontato più d’una volta nel peggiore dei modi.
Di fronte alle nuove responsabilità governative e parlamentari e mentre è in corso un confronto difficile all’interno del partito è quindi importante che la rappresentanza di Camera e Senato metta nero su bianco idee e propositi. L’intento dichiarato è quello di puntare su un cambio di marcia economico facendo leva sulla green economy con tutta una serie di interventi e misure di risparmio energetico e che consentano il minimo utilizzo di nuove risorse naturali, insieme ad una maggiore messa in sicurezza del territorio e semplificazione anche del quadro legislativo e delle competenze in materia ambientale, riducendo anche la pletora degli enti di gestione.
Qui il contesto si sbiadisce, vuoi per la genericità vuoi per il suo ridursi a misure di sostegno di una nuova economia, come se le politiche ambientali potessero esaurirsi in questo ambito. La genericità semplificatoria dettata unicamente da esigenze di ‘cassa’ ha già anche in passato dato luogo a veri e propri infortuni, come quando in un documento nazionale fu sostenuto in accordo con Calderoli che fosse bene abrogare i parchi regionali. Poi sono seguite altre abrogazioni o menomazioni che hanno di fatto cancellato qualsiasi politica di programmazione istituzionale stato-regioni-enti locali, che ha messo in crisi il nuovo titolo V a cui il documento manco accenna. Tantoché si parla genericamente di Sato e di comuni senza alcun riferimento né alle autorità di bacino e ancor meno ai parchi e alle aree protette che pure qualche ruolo – penso – dovrebbero averlo nelle nuove politiche ambientali sui beni comuni. Questo silenzio appare tanto più sconcertante se ricordiamo – bisogna ricordarlo! – che al Senato i senatori del Pd nella passata legislatura hanno sostenuto che era giusto modificare la legge quadro sui parchi del 1991 in quanto colpevole delle politiche rovinose del ministero dell’Ambiente -così venivano condonate addossandole alla legge! – E non paghi di questo imbroglio avevano pure cancellato qualsiasi ruolo delle regioni sulle aree protette marine.
E il Pd – basta vedere il suoi sito – ha fino all’ultimo sostenuto questo pasticcio con argomenti che fanno arrossire. Ecco perché questo documento, che segnala sicuramente propositi meno balzani rispetto al passato, deve trovare finalmente una meno vaga impostazione che rimetta l’ambiente al centro di politiche innanzitutto di programmazione e non rivolte unicamente all’economia ancorchè verde, ma finalmente al paesaggio, la natura, il territorio.
Renzo Moschini – Gruppo San Rossore
Tratto da Greenreport
chi ha tempo, guardi il video dell’assemblea del 30 all’Eliseo ( link in vetrina).Vale davvero la pena : la lectio magistralis di Settis e anche l’intervento di Barca aprono un mondo di speranza , di cultura e di informazioni sconosciute ai più . Fra l’altro il ricordo, anche questo poco noto, che il porcellum è in realtà nato in Toscana !!!!!