C’era una volta la stazione di Campiglia. Scrive Nicola Bertini
Ciascuno di noi ha dei luoghi a cui rimane attaccato per le proprie esperienze, i propri ricordi.
Ormai trent’anni fa, mio padre mi portava spesso alla stazione di Campiglia dove lavorava come capotreno.
Era un’altra Italia, un’altro mondo e bisogna avere grande prudenza a non glorificare luoghi e situazioni sulla base del ricordo d’infanzia che deforma e rende aulico ciò che magari non lo era affatto, di sicuro la stazione di Campiglia era molto diversa da come la vediamo oggi.
Non parlo tanto delle linee architettoniche su cui mi permetto solo di dire che mi pare ci sia stato poco rispetto (non solo a Campiglia) per l’architettura che era sopravvissuta fino a qualche anno fa in molte stazioni italiane e che è stata oggi soppiantata da delle linee algide, tozze e terribilmente “ordinarie”.
Mi riferisco piuttosto alla stazione nel suo complesso: servizi, stato di conservazione, atmosfera, relazione coi territori circostanti.
La stazione si presenta vuota, impacchettata e maledettamente deserta.
Fino a pochi anni fa la presenza del personale viaggiante era percepibile sempre e la stazione era presidiata. Il viaggiatore aveva dei punti di riferimento, la stazione aveva molti lavoratori che la accudivano, gelosamente.
La vita che pulsava nelle sale, rassicurava pendolari e turisti, e restituiva l’immagine di un territorio servito da un’importante infrastruttura. Attorno solo poche case e campi coltivati. Profilo che poteva rappresentare un punto di forza e di attrattiva per quella stazione così importante ma circondata dalla campagna, nel cuore della piana del Cornia.
Per un bimbo, la stazione era un luogo di socializzazione, non solo il punto dove ti portano a veder passare i treni, un luogo di decoro (ricordiamoci che si faceva a gara per avere la stazione più curata e verde), un luogo in cui era piacevole sostare. Quando mio padre per qualche motivo doveva andare alla stazione ed ero a casa, ero tutto eccitato all’idea di accompagnarlo, una gita fuori porta che in pochi chilometri sapeva condensare visi familiari, un luogo che per il figlio di un ferroviere, riservava coccole e attenzioni, centinaia di persone che andavano e venivano dirette chissà dove e provenienti da chissà dove e, naturalmente, il fascino dei treni.
Oggi dallo snodo di Campiglia, soprattutto in estate, non transitano meno persone di allora. Eppure non riconosco più niente di quei luoghi. Certo, i ferrovieri che mi coccolavano sono giustamente tutti in pensione, ma al loro posto c’è solo l’implacabile sole di luglio, offuscato dalla polvere della siccità e dei luoghi transennati, sprangati, abbandonati.
Le sale animate dai ferrovieri sono relitti, gli spazi ristrutturati hanno perso anima e anime. Impossibile considerare la stazione, oggi, un luogo accogliente e di vita, sono sicuro che mia figlia, se la portassi alla stazione di Campiglia per passare del tempo di domenica, non la considererebbe affatto una gita, ma il segnale implacabile del rimbecillimento del padre.
Allucinante che non ci siano neppure i bagni in uno snodo ferroviario che è a tutti gli effetti la stazione della Val di Cornia e dell’Elba. Una porticina chiusa in mezzo all’abbandono, in cui campeggia il cartello “guasto”. Implicito il consiglio: “arrangiatevi”. Conseguenza, il bar diventa da esercizio commerciale a bagno pubblico. In alternativa uno dei ritagli di aiuola o asfalto lasciati dai tanti soldi spesi nel piazzale antistante la stazione, saranno un ottimo WC. Ridicolo oltreché ingiusto.
Quanto costa alla comunità avere luoghi degradati ed espulsivi che rappresentano elementi di criticità sia nel tessuto urbano sia nelle vite dei pendolari sia nelle aspettative dei turisti, rispetto ad avere luoghi accoglienti e sicuri, che sedimenteranno nella memoria individuale e collettiva preziosi ricordi e legami? Quale valore diamo alla vivibilità e fruibilità degli spazi per i pendolari e quale alla promozione del territorio nei confronti dei turisti che parte, molto spesso, proprio dalla stazione di Campiglia?
La dequalificazione degli spazi ferroviari è un tema nazionale sottovalutato da trent’anni. Una riflessione sociologica e urbanistica è urgente ma non sembra nell’agenda del dibattito politico. In questo contesto però il territorio della Val di Cornia si è contraddistinto per sudditanza alle logiche di smantellamento del servizio e di abbandono delle stazioni. Una logica che in Val di Cornia costa cara e restituisce una stazione di San Vincenzo ombra di se stessa (non vi dico cosa sia per me pensare alla fontanella dei pesci rossi), una stazione di Piombino incommentabile, la stazione di Populonia – un tempo giardino fiorito – ridotta a relitto in degrado come Vignale e la stazione di Campiglia, snodo fondamentale, abbandonata e annegata in un delirio urbanistico degno di rappresentare un esempio negativo di pianificazione in tutt’Italia. Capannoni, residenza, alberghi, senza né ordine, né ragione. Un disastro vero.
Quale ricordo avranno i ragazzi di oggi di questo luogo? Un posto da dove erano costretti a passare, dove erano costretti ad aspettare senza servizi e comodità, un non luogo, inutile limbo di transito per le loro vere destinazioni.
Una comunità ha bisogno come del pane e dell’aria, di luoghi identitari e di storie. La stazione di Campiglia ha la storia di Lampo. Oggi, in quel deserto impersonale ed espulsivo, non ci sarebbe posto neppure per il cane ferroviere.
Nicola Bertini
Capogruppo “Gruppo 2019”
Ciao Nicola,presumo che tu sia il figlio del mio caro amico e.collega Edamo di cui ho avuto sempre tanta stIma.Condivido in pieno le tue argomentazioni perchè noi vecchi ferrovieri soffriamo molto vedendo il degrado delle stazioni dove abbiamo trascorso la maggior parte della nostra vita.Hai ricordato Populonia,che vinceva sempre il premio per l’abbellimento delle.stazioni,hai ricordato il viaggiante,il miglior mestiere in ferrovia,il buffet di Carlo,l’amico cane Lampo.!Peccato,oggi turto distrutto.Un caro saluto e quando vedi babbo abbracciato per me
Al riguardo la migliore esperienza, strano a dirsi, viene dagli Stati Uniti dove la compagnia ferroviaria passeggerI statale AMTRAK, in perenne deficit, ha affidato in molte piccole deliziose stazioni il servizio informazioni e spesso anche le complicate procedure di accesso ai treni vigenti negli USA (dove si può avvicinarsi ai convogli in arrivo solo sotto il controllo degli addetti) a gruppi di gentilissimi volontari pensionati o appassionati.
Morale, la cura dei luoghi di una comunità si può avere con azioni in positivo, non col lamento improduttivo privo di proposte, utile solo a rimpiangere i “bei tempi andati” e a coltivare un “sentiment” reazionario, di cui non si sente veramente il bisogno.