Anche Campiglia potrebbe fare di più per l’ambiente

“Look look”,
spiegava il cameriere per giustificare quella voce incomprensibile nel conto della trattoria in Antalya. Voleva dire che oltre il pesce, il vino e l’insalata, in quel locale pagavi la vista delle rocce a picco, che lui appunto chiamava “ look “, agitando il dito intorno.
Questo episodio mi torna spesso in mente quando percorrendo l’Aurelia, nelle giornate terse, si coglie come la cornice di Campiglia sia singolarmente bella, perché, quale sponda opposta alle colline metallifere ha i parchi e poi il mare.
Un mare autentico, dai colori intensi, talvolta luminescente ma mai piatto.
Se le colline sono state capitozzate dalle cave, la costa pare resistere alla cementificazione grazie all’impegno di chi è consapevole che, al di là della tutela dell’ambiente, le costruzioni riva mare sono redditizie solo per pochi, a fronte di un numero in crescendo di ospiti e visitatori che appunto anche da molto lontano vengono ” al mare per il mare”.
Sì, ma cosa c’è dentro il nostro mare?
Nel 2003 ricordo che, nelle acque prospicienti lo scoglio dello Stellino, scambiai per un sacchetto di plastica il polipo che mi si era attorcigliato intorno ad una caviglia.
Fu una sorpresa, in tutti i sensi…
Erano gli anni in cui si diceva che erano i natanti – barche da diporto, pescherecci, navi – a scaricare i rifiuti in mare.
Adesso il vero pericolo è costituito dalle microplastiche, quelle che non si vedono ad occhio nudo, di certo più subdolamente dannose. Secondo i dati, nel 2050 il 90 per cento delle specie di uccelli marini avrà ingerito microplastica, per non parlare dei pesci.
Lo scorso 23 febbraio le Nazioni Unite hanno lanciato una campagna di sensibilizzazione – #cleanseas – per limitare l’uso della plastica, in particolare delle bottiglie.
Dare un contributo alla salute dei luoghi , l’insieme dei quali costituisce pomposamente il pianeta, non basta più.
Occorre che la scelta del limitare i consumi della plastica sia prima di tutto istituzionale, ovvero provenga dalle amministrazioni locali.
Occorre cioè non soltanto procedere ad una raccolta differenziata dei rifiuti, ma anche orientare i consumi verso l’utilizzo di altri materiali.
Campiglia sul primo versante sembrerebbe portarsi bene, anzi molto bene: la popolazione recita la scansione dei giorni come le tabelline, (lunedì indifferenziata, martedì umido, mercoledì…ecc.) e dire che non sono tutti cittadini di primo pelo.
Il controllo sociale sulla esposizione delle 4 pattumiere dateci in affido è attento: guai sbagliare… Una volta ho obiettato che quella del vetro non c’è.
Il vetro – mi è stato allora detto cripticamente – “va portato”.
Ecco che allora il sistema pare incrinarsi. O, meglio, urgono alcune considerazioni che esigerebbero delle risposte, istituzionali, appunto.
Se il vetro non fa parte del ”trenino” settimanale dei rifiuti, inevitabilmente i campigliesi – di media non più giovanissimi – inevitabilmente orienteranno i loro acquisti su cibi e bevande contenute nella plastica… delle quali proprio l’acqua minerale costituisce il bene di maggior consumo.
E allora, due proposte – a basso costo ma ad alta condivisione – per aiutare l’ambiente e al tempo stesso per agevolare questi cittadini così ligi e disciplinati.
La prima è quella di introdurre la raccolta porta a porta del vetro, anche se con cadenze meno ravvicinate che per gli altri rifiuti.
La seconda è quella di costruire uno o più fontanelli dai quali si possa attingere dell’acqua buona.
Non importa che ci sia – come altrove – anche quella gassata.
Almeno per ora.…
Laura Riccio
Comitato per Campiglia