San Vincenzo reagisce alla denuncia di Salvatore Settis
Lo scandalo dell’indifferenza per l’opera di Alvaro Panichi.
Comune e Ferrovie si impegnano a rimediare: «Spostata per i lavori sarà ricollocata al suo posto».
Nell’indifferenza generale, versa in condizioni di pietoso abbandono da mesi. La scultura “I Ferrovieri italiani nella Resistenza” di Alvaro Panichi non è messa bene. E serve l’occhio esterno e sensibile di Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte italiano di fama e curriculum internazionali, perché ci si accorga dello scempio.
→ Leggi la denuncia di Salvatore Settis pubblicata ieri su Il Tirreno
In questi mesi di cantieri di ristrutturazione della stazione ferroviaria sono state fatte cose di dubbio gusto. L’opera è stata smontata e ammassata in un angolo. Ragioni di cantiere. Sarà, ma è finita senza alcuna cura tra il casotto per le fototessera e un totem informativo. Anzi, ignoti si sono sentiti autorizzati a trasformarla in appiglio sicuro a cui assicurare, con tanto di catena, la propria bicicletta.
Nessuno ha sollevato questioni. Anche in occasione dell’inaugurazione della rinnovata passerella pedonale, il 30 aprile. Eppure, il percorso che collega via Aurelia Nord con via della Stazione passa proprio dov’è l’opera di Panichi. «La scultura è stata smontata e spostata per i lavori di riqualificazione della stazione – dicono da Rfi -. Chiuso il cantiere verrà riposizionata nel suo spazio originario».
Che sia il problema di sempre? Non si capisce cosa è opera d’arte e cosa non lo è. «Fortuna vuole che è in ferro robusto. Insomma, è difficile farle tanto male», dice Alessandro Panichi, figlio dello scultore ferroviere Alvaro. Che aggiunge: «È evidente che è stata trattata in modo non corretto. Mi auguro che venga ricollocata nella sua posizione, che fu scelta negli anni Novanta in accordo con il Comune e le Ferrovie».
Non c’è niente di eclatante. E non è una questione di gusto. In quell’opera ci sono fissate la passione e la vita di un uomo. Quella del signor Alvaro, ex capostazione a Piombino, Portovecchio e successivamente titolare della stazione di Populonia. Entrato nell’allora Genio ferrovieri a 18 anni in un’Italia devastata dalla Seconda guerra mondiale. E figlio di un antifascista.
«L’opera è alla memoria delle persone semplici – afferma Alessandro Panichi -. Di quei Ferrovieri che a modo loro hanno partecipato alla Resistenza. Per lui quell’opera è il suo omaggio a una pagina di storia e a tante persone che come lui sono stati parte del Genio ferrovieri».
È tutto un po’ confuso a San Vincenzo. E chi vive qua o transita in questo slargo a ridosso dei binari il problema non se lo pone. Ci si è adattato. Qui davvero il transitorio – il cantiere – è diventato definitivo. La misura la restituiscono da dietro il bancone del bar La Stazione: «A nostra memoria nessuno ci ha mai chiesto informazioni su quella scultura». Resa invisibile dall’indifferenza. Accantonata nell’incuria.
Solenne l’impegno del sindaco di San Vincenzo Alessandro Bandini. «È stata spostata per i lavori, ma deve riavere la sua giusta collocazione – dice -. Mi farò carico di chiedere a Rfi che le siano restituite la giusta dignità e rilievo».
Il dito puntato di Salvatore Settis qualcosa ha smosso. La figuraccia ormai c’è stata. Ma alcuni operai della ditta che sta curando la ristrutturazione della stazione, a pomeriggio inoltrato del 25 luglio, avrebbero posato gli occhi sulla scultura e valutato dove ricollocarla.
Manolo Morandini – Il Tirreno 26.7.2018
La memoria del lavoro e il silos Solvay
L’altro monumento sanvincenzino a cui fa riferimento Settis si trova a San Carlo. «Semplici e modesti, senza grandi pretese, ma di una forte e autentica eloquenza operaia», scrive accomunando l’opera “Ai minatori” in piazza Solvay a quella di Alvaro Panichi “I ferrovieri italiani nella Resistenza”.
Il legame va oltre i riferimenti al lavoro. Quello installato a San Carlo è firmato dall’architetto Alessandro Panichi, figlio di Alvaro, ed è parte del percorso storico in cui si testimonia il lavoro nella cava di calcare della multinazionale belga che ha segnato lo sviluppo di San Vincenzo.
E a questo proposito c’è una ferita aperta per l’architetto Panichi. Il silos dismesso dalla Solvay, progettato e costruito da Pierluigi Nervi, ingegnere di fama internazionale, che da anni è in stato di abbandono.