La Rete di Asor Rosa a Campiglia – L’analisi di Carlo Alberto Graziani

Due gesti pieni di dolcezza possono essere presi a simbolo dell’Assemblea della “Rete dei Comitati per la difesa del territorio” che a fine giugno si è svolta nel suggestivo scenario del Parco archeominerario di San Silvestro a Campiglia Marittima; il bacio di Irene Nesi, rappresentante del Comitato di Volterra, al suo bellissimo bambino dopo un intervento semplice e molto sentito che ha colpito emotivamente i numerosi partecipanti perché vi hanno riconosciuto il senso profondo del proprio impegno rivolto soprattutto alle nuove generazioni; le carezze di Alberto Asor Rosa al suo cane, uno splendido golden retriever, mentre conclude i lavori della prima giornata che hanno messo in evidenza la vivacità di un movimento dai contorni certo ancora non bene delineati, ma comunque dalle grandi potenzialità e fortemente radicato nel territorio. Gesti che dimostrano come anche nel dibattito politico vi possa essere spazio per i sentimenti più autentici e come l’esortazione di Alex Langer – lentius, profundius, suavius – possa e debba, oggi ancor più di ieri, segnare l’itinerario di una politica alta e altra.
  1. •Estendere la Rete a tutto il territorio nazionale

Tre anni sono passati da Monticchiello. Altro che difesa del suo “buen retiro” da parte del famoso intellettuale di sinistra! Una difesa che, oltre tutto, rischia di essere vanificata dalla recentissima sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato i provvedimenti ministeriali del 2007 emanati per limitare l’aggressione del cemento. Asor Rosa ha invece saputo cogliere una fortissima e diffusa preoccupazione per le sorti del territorio aggredito dagli interessi forti e dalle stesse istituzioni che sempre di meno a quegli interessi sanno opporsi e nello stesso tempo ha voluto dare una prospettiva organizzativa ai tanti che si stanno battendo strenuamente per una diversa politica di gestione territoriale, riuscendo, grazie alla sua autorevolezza, a mettere in rete le numerosissime iniziative locali soprattutto in Toscana (solo in questa regione sono circa duecento i Comitati associati alla Rete). All’Assemblea ha poi proposto di estendere la Rete a tutto il territorio nazionale che pullula di Comitati analoghi, come hanno confermato, tra gli altri, Ezio Locatelli per i Comitati della Lombardia e Bernardo Rossi Doria che ha illustrato l’interessantissima esperienza, del tutto trascurata dai media, delle decine e decine di Comitati romani.

  1. •L’ambientalismo del fare è oramai come lo sviluppo sostenibile

Altro che ambientalismo del no che si vorrebbe contrapporre all’ambientalismo del fare! Orribile slogan coniato da chi ha timore dell’impopolarità e divenuto vessillo non più solo degli “ecodem” (cioè degli ecologisti del Partito democratico: quando si finirà di parlare solo per gli iniziati?), ma oggi anche del Ministro Prestigiacomo. E’ significativa questo condivisione della terminologia: l’ambientalismo del fare è oramai come lo sviluppo sostenibile, non dà fastidio a nessuno, anzi è diventato un’espressione di moda. Occorre invece rendersi conto che la difesa del territorio passa attraverso i no, piccoli e grandi no, anche se non si riduce a essi, come sanno bene i Comitati. “A Volterra – ha detto Irene Nesi che ne ha disegnato incisivamente la parabola – abbiamo iniziato a lavorare attorno ai problemi dell’ospedale, poi ci siamo accorti delle aggressioni al territorio e abbiamo ampliato i nostri interventi, poi alle recenti elezioni comunali abbiamo voluto presentare una lista civica e poi …. poi abbiamo vinto!”

  1. •Laddove il territorio è stato meglio conservato, le aggressioni sono più dolorose

Ma perché questo fiorire di Comitati proprio in Toscana, storicamente caratterizzata – come non si stanca di ripetere l’assessore regionale Riccardo Conti criticando ferocemente la loro azione – da una corretta politica di gestione territoriale? La risposta è semplice: proprio per questo. Proprio perché laddove il territorio è stato meglio conservato le aggressioni sono più dolorose; come avviene nelle persone: chi è sempre stato bene quando viene colpito dal male soffre di più. E oggi il male si sta diffondendo anche in Toscana: le denunce dei Comitati (basta guardare la mappa delle emergenze nel sito della Rete curato da Sergio Morozzi: www.territorialmente.it) lo dimostrano ampiamente; la progettata autostrada tirrenica ne è il simbolo. Certo, spesso si tratta di aggressioni che sono il risultato di una procedura ineccepibile e pertanto non sono formalmente illegittime: ma ciò è più grave perché dimostra l’inadeguatezza di quella procedura a evitare il male. Al fondo vi è sempre una carenza di coinvolgimento effettivo dei cittadini nelle decisioni: la partecipazione resta parola vuota.

  1. •In Italia la difesa del territorio non entra nel repertorio delle scelte politiche

Qual è allora il valore politico dei Comitati e della loro Rete? Nella relazione introduttiva Asor Rosa si è soffermato sul ruolo fondamentale che il territorio dovrebbe avere all’interno di qualsiasi strategia dello sviluppo. Ed è proprio sulla difesa del territorio che oggi – egli ha affermato – si ridefiniscono le nozioni stesse di destra e sinistra.. Ma la difesa del territorio non entra, almeno in Italia, nel repertorio delle scelte politiche. A parte il centro destra che in nome del profitto e della speculazione continua nel saccheggio di quello che fu il Bel Paese, dal centro sinistra non giunge una parola chiara su questo punto fondamentale. Nell’intervista a questo giornale lo stesso Ermete Realacci ha riconosciuto che il PD stenta ad assumere il tema dell’ambiente come centrale; del resto il dibattito e gli interventi di questi giorni dei e sui candidati alle primarie neanche sfiorano la questione. Vorrei aggiungere che, per quanto riguarda la sinistra cosiddetta radicale e oramai extraparlamentare, essa in parte incarna l’antica logica che subordina il territorio alla produzione, in parte sta ridefinendo la sua ragion d’essere: in questa ridefinizione dovrebbe assumere come centrale la questione territoriale e potrebbe quindi diventare un punto di riferimento per i Comitati. La realtà attuale è che il modello di sviluppo condiviso dai gruppi di interesse e dalle istituzioni ha bisogno per sopravvivere di sacrificare il territorio: solo attraverso l’aggressione (più infrastrutture, più costruzioni) quel modello sembra essere in grado di creare posti di lavoro o quanto meno di arrestare l’attuale emorragia. Questo punto è emerso chiaramente dal dibattito presieduto da Paolo Baldeschi il primo giorno e da Claudio Greppi il secondo: alla crisi – ha sottolineato Ornella De Zordo – si offrono solo risposte vecchie, rilanciando i cantieri, l’edilizia; si tratta di un modo di affrontare i problemi che corrisponde – ha amaramente rilevato Massimo Zucconi (il quale però a Campiglia è riuscito a fare abbattere duemila tra villette e altri manufatti) – a una certa cultura diffusa in Italia che vede nel paesaggio e nel territorio dei vincoli che consumano ricchezza senza produrla.

Chi si oppone a questa logica e a questo modello passa per un avversario dei lavoratori o per un nostalgico dei bei tempi andati. Si comprende sotto questo aspetto il forte intervento di Vezio De Lucia che ha sottolineato come i luoghi di buongoverno del territorio in Italia siano diventati rarissimi, come la Toscana abbia oramai cambiato la sua politica di gestione del territorio e come nel resto d’Italia, soprattutto dove opera la malavita organizzata, la situazione sia terribilmente e a volte irrimediabilmente compromessa. L’Agro romano, investito dal dilagare senza sosta e senza regole dell’edificazione, ne è il simbolo più sconcertante.

  1. •L’importanza dei Comitati in questo vuoto politico

In questo vuoto della politica tradizionale che, al di là degli slogan sullo sviluppo sostenibile, è incapace di indicare un modello concreto in grado di salvare il territorio, emerge l’importanza del ruolo, direi la missione, dei Comitati: porre al centro, non solo nella elaborazione teorica ma soprattutto nei luoghi delle scelte quotidiane (della sperimentazione creativa, come ha detto Giorgio Piziolo), il territorio e la sua integrità; far crescere attraverso il coinvolgimento una nuova cultura diffusa che consideri il paesaggio e il territorio come beni comuni i quali già oggi soddisfano esigenze immateriali, ma pur sempre fondamentali, dell’essere umano e nello stesso tempo rappresentano elementi della produzione di ricchezza futura; imporre, come criterio fondamentale delle scelte istituzionali, la partecipazione effettiva e consapevole (perché informata) dei cittadini, anche non residenti, legati ai luoghi. Quella partecipazione che, secondo Alberto Magnaghi (che tra l’altro ha portato l’esperienza della lista civica “bene comune” che alle elezioni comunali di Montespertoli ha ottenuto il 26%), risolve la contrapposizione tra centralismo e federalismo leghista ed è in grado di realizzare un federalismo effettivamente democratico che corrisponde alle esigenze di quell’altra Italia di cui ha parlato Asor Rosa, che stenta a farsi vedere, ma che esiste ed è presente anche al Sud.

  1. •Esportare la spinta che viene dalla Toscana

Due le proposte più significative decise dall’Assemblea. Un’iniziativa nazionale dei Comitati italiani dove esportare la spinta che proviene dalla Toscana: non necessariamente essa dovrà avere una ricaduta di carattere organizzativo, ma dovrà comunque segnare l’inizio di un cammino comune, di un’intesa permanente. Un messaggio alle diverse Associazioni ambientalistiche, che oggi procedono ognuna per conto proprio, diretto a promuovere forme di scambio permanenti e a superare così l’attuale fase del particolarismo associativo.

Sotto questo profilo la novità più interessante è dato dal fatto che il messaggio già in fase di Assemblea sembra essere stato accolto positivamente dalle due maggiori Associazioni: Edoardo Zanchini per Legambiente e Guido Scoccianti per il WWF, presenti al dibattito, hanno manifestato l’interesse delle loro organizzazioni per la Rete e hanno riconosciuto il ruolo positivo dei Comitati: “malgrado qualche problema e qualche divergenza (ad esempio sull’eolico o sulla tramvia a Firenze) – ha detto in particolare Zanchini – i Comitati hanno dato un contributo di cui si sentiva la necessità e che a volte ha provocato cambiamenti nelle decisioni delle istituzioni, come nel caso del piano caso della Toscana”.

Sembrano così superate – ma occorrerà verificarlo – le tradizionali perplessità nutrite dalle Associazioni ambientalistiche nei confronti dei Comitati. Per precisione va detto che tali perplessità sono sorte il più delle volte per il fatto che le Associazioni hanno percepito l’attività dei Comitati come una sorta di occupazione del proprio territorio da parte di estranei; in realtà assai spesso i Comitati sono sorti e continuano a sorgere in mancanza di una presenza localmente organizzata delle Associazioni, i cui aderenti invece finiscono per impegnarsi anche con molta determinazione nei singoli Comitati.

  1. •Infine la tentazione elettorale

Dal dibattito sono emerse posizioni differenziate in vista delle elezioni regionali del prossimo anno. Su questo punto voglio essere molto chiaro. Il ruolo dei Comitati è di fondamentale importanza perché non solo è rivolto a controbattere almeno localmente le offensive contro il territorio, ma anche e soprattutto perché è quello di contribuire alla creazione o al rafforzamento di quella cultura diffusa che sola può influire sulle politiche territoriali dei partiti e delle istituzioni. La scelta di presentarsi alle elezioni comunali con una lista civica, che i singoli Comitati nella loro piena autonomia a volte fanno, corona un impegno e può rafforzare quel ruolo.

Oltre tutto la lista civica rappresenta un importante e tradizionale strumento di partecipazione alla esperienza politica e alla vita amministrativa locale. Ritengo però che oggi sarebbe un gravissimo errore se la Rete, in quanto organizzazione di Comitati, si presentasse alle elezioni di grado superiore: perché nell’azione della Rete si inserirebbero elementi di fortissima contrapposizione (si pensi ai militanti o comunque agli elettori di altre forze politiche che oggi esprimono il loro impegno politico, a volte anche quello più intenso, all’interno dei Comitati) e così si segnerebbe l’inizio della crisi; perché la Rete finirebbe per impegnarsi su una serie numerosa di fronti, distogliendo una parte delle sue forze da quello che è il suo campo di azione specifico; perché il quadro politico italiano ha bisogno di tante cose, ma non certo di un altro partito che oltre tutto sarebbe, inevitabilmente, un partitino; perché mentre anche un solo consigliere comunale ha un ruolo importante, se non altro per poter essere canale di quelle informazioni necessarie all’azione di difesa del territorio, un gruppo più o meno esiguo di consiglieri regionali o di parlamentari tenderebbe a essere irrilevante soprattutto se consideriamo l’attuale ridimensionamento del peso delle assemblee legislative e le ampie possibilità di accesso a canali informativi differenziati ed egualmente efficaci,.

Guai dunque a cedere a quella tentazione! Altro invece e importante è oggi, come abbiamo visto, il messaggio della Rete e dei Comitati: il lavoro fin qui condotto e il dibattito di questa Assemblea lo indicano chiaramente. Domani? Chissà?

5 luglio 2009

Carlo Alberto Graziani

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