La nuova legge toscana sul governo del territorio può aprire una stagione nuova

La nuova legge toscana sul governo del territorio può aprire una stagione nuova

Scrive Rossano Pazzagli:

Ha colpito l’elevata partecipazione al convegno organizzato a Pisa dalla Società dei Territorialisti sulla riforma della legge regionale sul governo del territorio. Un pubblico giovane e qualificato, proveniente da ogni parte della Toscana, ad un convegno politicamente non rituale è un buon segno nell’ottica di un’eco diffusa delle tematiche pianificatorie, che finiscono per assumere anche un valore culturale e politico.

La Società dei Territorialisti è una associazione nazionale che riunisce studiosi, docenti e ricercatori di varie discipline (urbanistica, geografia, economia, storia, sociologia, agraria…) con l’obiettivo di rimettere al centro il territorio e riunificare i saperi settoriali che lo riguardano verso un’unica scienza del territorio. Una unitarietà che però deve riguardare non soltanto l’ambito scientifico, ma anche la sfera politica. Il territorio è inteso qui non solo in senso fisico delimitato, ma come categoria generale, come risultato del lungo processo storico di territorializzazione, come elemento che il modello di sviluppo contemporaneo ha progressivamente marginalizzato, espulso, calpestato, riempito e molte volte ferito. Questo ha impedito di coglierne appieno il valore di risorsa, di identità, di patrimonio. Ciò è avvenuto dappertutto, dove più dove meno. Ma anche laddove esistevano buone leggi, apparentemente virtuose nei principi ispiratori, si è predicato bene e razzolato male.

Ecco perché la Società dei Territorialisti, con il convegno pisano, ha salutato la proposta di legge regionale, promossa dall’assessore Anna Marson e approvata alcuni mesi fa dalla Giunta regionale, come la possibilità di aprire una stagione nuova nel governo del territorio, non limitata all’urbanistica, ma in una visione effettivamente integrata e pubblica della pianificazione. Un rilancio della cultura della pianificazione pubblica improntata a un pensiero del territorio e ad una coscienza di luogo.

L’iniziativa della SdT si propone non solo di allargare la partecipazione e la conoscenza della riforma, ma soprattutto di portare contributo sul piano culturale e scientifico entro un’ottica di nuova centralità del territorio, attraverso un documento che sarà inviato al Consiglio regionale chiamato ad approvare la proposta di legge. Si tratta di un provvedimento ampio e complesso (ben 226 articoli, 134 pagine) che riorganizza le procedure di pianificazione in Toscana e le regole relative all’informazione e alla partecipazione, istituisce il monitoraggio dell’esperienza applicativa della legge e della sua efficacia, introduce il concetto di «patrimonio territoriale», valorizza la pianificazione di area vasta, rafforza le regole di prevenzione per la sicurezza del territorio, valorizza l’attività agricola e il mondo rurale, riduce i tempi della pianificazione e adegua la legislazione regionale al Codice del paesaggio, adottando più strutturate e cogenti metodologie di partecipazione.

Siamo in presenza di una riforma che prefigura un cambiamento di rotta nella gestione dei processi pianificatori nella Regione Toscana, ad un cambio di approccio che richiede un sostegno diffuso e la massima attenzione alla fase transitoria. Si tratta infatti di superare l’attuale prassi basata su buoni principi e su pratiche attuative spesso in contrasto con essi.

La legge riconosce valore patrimoniale a una serie di beni, e fra questi il bene suolo, di cui contrasta il consumo indiscriminato: “le trasformazioni che comportano impegno di suolo non edificato a fini insediativi o infrastrutturali sono consentite esclusivamente nell’ambito del territorio urbanizzato individuato dagli strumenti della pianificazione locale […]. Non sono comunque consentite nuove edificazioni residenziali fuori del territorio urbanizzato”. Questa determinazione, con grande probabilità, aprirà una nuova fase del governo del territorio toscano, superando l’epoca della copertura dei suoli agricoli, spesso senza qualità, da parte di un urbano senza regole morfologiche ed ecologiche. La legge sembra così disegnare una città e una campagna che si modificano riacquistando la loro identità specifica, rivalutandone funzioni e relazioni, contro i processi della loro degradazione a fini speculativi-finanziari.

La definizione e il riconoscimento del patrimonio territoriale come bene comune è il perno strategico sul quale ruota l’intero provvedimento legislativo, secondo il quale (art. 3) “la Regione promuove e garantisce la riproduzione del patrimonio territoriale in quanto bene comune costitutivo dell’identità collettiva regionale”. Per patrimonio territoriale la legge intende “l’insieme delle strutture di lunga durata prodotte dalla coevoluzione fra ambiente naturale e insediamenti umani, di cui è riconosciuto il valore per le generazioni presenti e future. Il riconoscimento di tale valore richiede la garanzia di esistenza del patrimonio territoriale quale risorsa per la produzione di ricchezza per la comunità.” È una definizione che include, implementandolo e adeguandolo, il concetto di sviluppo sostenibuile già assunto dalle precedenti normative sul governo del territorio (dalla L.R. 5/1995 alla LR 1/2000).

Sul piano più tecnico la legge di riforma rende più chiaro il rapporto fra Piano Strutturale e strumento gestionale, che d’ora in poi viene detto Piano Operativo. Il Piano Operativo deve essere inteso realmente come strumento per la realizzazione nel tempo degli obiettivi strategici, permettendo con maggiore chiarezza di coordinare le energie di trasformazione private (modificazioni edilizie) e pubbliche (realizzazione di opere pubbliche) e stabilendo una più definita regolamentazione sul patrimonio edilizio esistente e sul territorio rurale. Esso dovrà, con più determinazione rispetto a quanto richiesto fino ad ora per il Regolamento Urbanistico, dare conto della conformità delle sue previsioni a quelle del Piano Strutturale e deve esplicitare le relazioni fra le proprie previsioni e le determinazioni dei piani regionali e provinciali.

La proposta di legge inoltre un contributo significativo anche al tema della collaborazione e del coordinamento orizzontale tra gli enti, in particolare per quanto riguarda l’intercomunalità e la sovracomunalità dei processi di pianificazione. Strumenti significativi in questo senso sono i piani strutturali intercomunali, anche se un aspetto su cui riflettere ancora è quello degli ambiti territoriali di riferimento per la pianificazione di area: sarebbe auspicabile una loro definizione dal basso e flessibile (bioregione, sistemi socio-economici, sistemi ambientali, sistemi culturali…), che salvaguardando le autonomie comunali sviluppi e incentivi la loro capacità di lavorare insieme, oggi depressa dalla crisi della politica e dai malintesi processi di razionalizzazione economico-finanziaria del sistema istituzionale territoriale.

Fondare le trasformazioni regionali sulla valorizzazione del patrimonio territoriale significa intervenire consapevolmente sul modello di sviluppo nel suo insieme (politiche socieconomiche, infrastruttrali, ambientali, edilizie, produttive, commerciali, culturali, turistiche, ecc.) e ciò comporta che il governo del territorio sia integrato e intersettoriale, cosa che oggi non è: ogni settore tende ad agire verticalmente sul territorio con sue strutture, obiettivi (spesso autoreferenziali) e interessi (non sempre convergenti). Sebbene anche la legge 1/2005 prevedesse il coordinamento dei programmi di settore, ogni politica settoriale (di tipo agricolo, commerciale, industriale, sanitario, infrastrutturale, ambientale, energetico, ecc.) ha proceduto con proprie logiche rimanendo completamente scollegata dalla programmazione urbanistica e territoriale, con la conseguenza che il territorio, anziché acquisire centralità e valore, è piuttosto venuto configurandosi come la risultante di tante politiche di settore.

Risulta infine molto qualificante la parte su informazione, partecipazione, trasparenza. Partecipazione delle comunità locali e collaborazione istituzionale tra enti – con la specificazione dei relativi istituti e modalità – rappresentano un effettivo salto di qualità. L’assunzione, nella nuova legge, della partecipazione come forma inerente il piano richiede una profonda trasformazione del funzionamento amministrativo per la comunicazione, l’attivazione la gestione dei processi partecipativi e l’effettivo accoglimento dei loro risultati nei procedimenti.

Per questi motivi, riferiti sia agli aspetti metodologici è auspicabile quindi una conferma ed un eventuale arricchimento del testo durante l’iter del dibattito consiliare, finalizzato comunque ad una rapida approvazione della proposta di legge, possibilmente senza modifiche che ne alterino il significato, gli obiettivi e i metodi. È un percorso che può contribuire a farci uscire in modo virtuoso dalla crisi senza riprodurre gli elementi negativi che l’hanno determinata (tra cui il consumo dissipativo di suolo e delle altre risorse), soddisfacendo l’esigenza della sicurezza del territorio e dei suoi abitanti, della tutela dei patrimoni comuni e quella di uno sviluppo fondato sul lavoro e sul benessere degli abitanti, bloccando la dilapidazione di una risorsa – il territorio rurale – indispensabile per il futuro della Toscana.

Nell’ottica della nuova legge può emergere anche una nuova economia dell’urbano e del rurale. Appare di nuovo significativa la distinzione tra urbano e rurale come recupero di aspetti identitari e di relazioni territoriali, che va nella direzione di ripensare ad un nuovo modo di affrontare il problema della chiusura dei cicli ecologici (energetico, del cibo, delle materie prime, dei rifiuti…) a livello locale. Ciò aprirebbe nuove prospettive di riprogettazione a livello bioregionale del rapporto città-campagna. L’impresa che lavora nella costruzione della città può trovare nuova linfa per la propria attività: ripensare ai tessuti urbani senza regole, che si sono prodotti nell’ultimo secolo, modificandoli secondo invarianti strutturali (regole morfogenetiche ereditate dalla storia, processi generativi di spazio urbano-territoriale) che ne ricostituiscano uno spazio riconosciuto dalla comunità insediata, contro, insomma, lo squallore delle periferie che si sono fabbricate di recente.

L’impresa che lavora nelle produzioni della campagna può assumere un respiro più ampio (senza essere attratta dal miraggio della speculazione sui valori fondiari) e la voglia di concentrarsi nella sua missione principale: nutrire l’umanità di beni alimentari, di beni naturali (la qualità dei cicli ecologici e geo-pedologici) e di beni culturali (la costruzione del paesaggio). In questo percorso gioca un ruolo fondamentale proprio la definizione del patrimonio territoriale come bene collettivo, che è il vero principio ispiratore della riforma.

Una pronta approvazione e una coerente applicazione di questa legge appare dunque in grado di avviare una effettiva trasformazione delle strutture gestionali, delle politiche e delle culture di pianificazione per renderle operanti, anche come strumento di superamento della crisi, assumendo le risorse patrimoniali come motori di sviluppo locale autosostenibile, di qualità territoriale e di produzione di ricchezza durevole. Ma c’è bisogno di una effettiva consapevolezza politica del valore culturale e dell’urgenza di intervenire nell’ambito strategico del governo del territorio.

Rossano Pazzagli
Direttivo nazionale della Società dei Territorialisti, docente presso il dipartimento di Bioscienze e Territorio
Università degli Studi del Molise

Tratto da Greenreport

 

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