55 ettari di cemento al giorno, così l’Italia asfalta il suo futuro

55 ettari di cemento al giorno, così l’Italia asfalta il suo futuro

«I dati dell’Ispra smentiscono, per l’ennesima volta, la presenza di un nesso causale tra edilizia e necessità di abitazioni: in una spirale perversa le città perdono abitanti, ma guadagnano case, vuote e sfitte». 

La Repubblica, 4 maggio 2015

di TOMASO MONTANARI

NEMMENO la grande crisi ha fermato l’unica impresa comune nella quale gli italiani delle ultime generazioni sembrano essersi coalizzati: il consumo irreversibile del sacro suolo della patria. Cioè il più evidente dei nostri vari suicidi collettivi.

È questa la più impressionante tra le moltissime notizie contenute dal rapporto 2015 sul consumo di suolo che oggi è stato reso pubblico dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l’Ispra. Nel 2014 abbiamo “tombato” col cemento altri duecento chilometri quadrati di suolo: ogni giorno perdiamo 55 ettari, ogni secondo ci giochiamo tra i 6 e i 7 metri quadrati di futuro. In totale il suolo consumato in Italia è arrivato a quota 21mila chilometri quadrati, cioè il 7 per cento del territorio.

Dai numeri dell’Ispra appare consolidata la tendenza per cui, dal 2008, il Nord Ovest guadagna (cioè perde…) terreno rispetto al Nord Est. In altre parole, si costruisce di più proprio nelle regioni che negli ultimi anni hanno pagato, per il cemento, il prezzo più alto in termini di vite umane e di danni materiali: la Liguria, per esempio. I numeri del cemento vanno, infatti, incrociati con quelli del brusco cambiamento climatico e del conseguente aumento del rischio idraulico e geologico. In un convegno sul Cambiamento climatico, rischio idrogeologico e pianificazione urbanistica tenutosi recentemente all’Università di Firenze, il meteorologo Andrea Corigliano ha notato che «dei 74 eventi alluvionali totali italiani che si sono verificati dal 1951, 55 si sono manifestati dopo il 1990 e ben 26 solo negli ultimi quattro anni». In altre parole, gli effetti dell’immissione di anidride carbonica nell’atmosfera (nel 2014 la più elevata degli ultimi 800 mila anni) si stanno sommando a quelli del sigillamento del terreno: e la conseguenza sono le devastanti alluvioni urbane, che tutto sono tranne che una catastrofe naturale.

Di naturale c’è davvero poco, in questa nostra folle corsa al cemento. I dati dell’Ispra smentiscono, per l’ennesima volta, la presenza di un nesso causale tra edilizia e necessità di abitazioni: in una spirale perversa le città perdono abitanti, ma guadagnano case, vuote e sfitte. E se nel 2014 il suolo consumato per ogni cittadino italiano sembra, per la prima volta, lievemente scendere, non è perché si costruisca di meno, ma è a causa della ripresa demografica, dovuta in grandissima parte all’immigrazione. Come una specie di terribile peccato originale, i “nuovi italiani” si addossano un consumo statistico di suolo davvero impressionante: circa un chilometro quadro a testa!
E non si deve pensare che il Mezzogiorno sia esente dalla peste grigia del cemento. Dopo Lombardia e Veneto si attestano immediatamente la Campania e la Puglia.

Ed è impressionante – ma non sorprendente – vedere che la regione del Crescent (il più incredibile scempio edilizio della Penisola, che ha sfregiato la città e il paesaggio di Salerno per volontà del sindaco Vincenzo De Luca, ora candidato alla presidenza della regione) nel 2013 si è cementificata più di Toscana, Emilia Romagna, Lazio: con una percentuale che si attesta tra il 7,8 e un mostruoso 10,2 per cento del territorio.

Di fronte a queste cifre, appaiono un balsamo le parole del nuovo ministro per le Infrastrutture Graziano Delrio, il quale ha subito promesso che si costruiranno solo opere utili (ovvio? No, sarebbe rivoluzionario), e che si romperà con la legislazione d’emergenza pro-cemento made in Maurizio Lupi. Ma c’è da fidarsi?

Il disegno di legge sulla “semplificazione” presentato dal presidente del consiglio Matteo Renzi di concerto con la ministra Marianna Madia promette, al contrario, di aggravare le conseguenze del micidiale Sblocca Italia, voluto da Lupi e fatto approvare da Renzi nello scorso novembre. Si tratta di una legge delega che – se approvata – permetterà, tra l’altro, al governo di estendere il micidiale meccanismo del silenzio-assenso (già sostanzialmente dichiarato anticostituzionale nel 1986) anche «alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico- territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini» (articolo 3). Facile immaginare cosa succederà, in un Paese che ha smantellato e reso inefficienti le sue “magistrature del territorio”: saranno più veloci i permessi alle opere inutili legate ad interessi privati. E che dire dell’articolo 2, che delega il governo a introdurre il principio della decisione a maggioranza nelle conferenze dei servizi? Gli interessi dell’ambiente e della salute dei cittadini saranno in maggioranza o, come sempre, in minoranza?

La battaglia contro il cemento si perde prima nelle leggi corrotte, e poi sul territorio: dipende dall’azione del governo Renzi ciò che leggeremo nel prossimo rapporto Ispra. O il governo invertirà la rotta, o leggeremo che ci siamo suicidati ancora un po’. La scommessa sarebbe facile: ma sul futuro dei nostri figli non si può scommettere.

Tratto da eddyburg

l’analisi

IN 60 ANNI STRAVOLTA LA NATURA

L’analisi di ALFREDO DE GIROLAMO

Il Rapporto Ispra sul consumo di suolo in Italia fornisce dati utili per un’importante azione di governo, nazionale e regionale, coerente e sostenibile. Stando al rapporto, che sarà presentato oggi a Milano, il consumo di suolo nel nostro Paese continua ad aumentare, ma rallenta la sua corsa nel 2014.

Il livello di saturazione della cementificazione è arrivato al 7% come media nazionale, con aree che raggiungono pericolosamente la soglia del 10%. In una fase di stagnazione economica e di sostanziale stabilità demografica non si comprende perché continuare ad aumentare le superfici di suolo sottratte ai cicli naturali. Una crescita che sembra inarrestabile dal 1955, con un tasso di consumo di fatto triplicato in 60 anni, con dati di punta nel nord ovest (8,4%).

Ispra registra una riduzione del fenomeno nel 2014, sia in termini assoluti sia come superficie consumata per abitante (per la prima volta in riduzione da 349 a 345 mq per abitante). Un’inversione di tendenza che deve essere consolidata. Una decisione di politica territoriale che deve essere assunta dal Governo a livello nazionale, prima di tutto: l’Italia è un Paese fragile dal punto di vista geomorfologico e le alterazioni climatiche stanno esasperando questa fragilità.

Aumentare il consumo di suolo è quindi pericoloso oltre che inutile, e sorprende che siano proprio le regioni colpite da eventi disastrosi ad avere tassi di aumento del consumo di suolo più elevati, come nel caso della Liguria. Ma la “malattia” italiana ha cause radicate a tutti i livelli di programmazione e gestione del territorio e guai a cadere in semplicistiche analisi attribuendo tutte le colpe del fenomeno a quanto previsto dal decreto Sblocca Italia e alle decisioni di questo governo o dei precedenti esecutivi.

Il consumo di suolo nasce dagli “appetiti locali” di nuova urbanizzazione e dalle scelte spesso poco lungimiranti e molto elettoralistiche delle amministrazioni comunali. Al di sopra di queste il consumo di suolo è consentito da leggi regionali permissive come quelle della Lombardia (che fa salva tutta la pianificazione locale preesistente) o di altre regioni che si limitano ad enunciare principi generali che poi gli enti locali aggirano con facilità.

L’abuso di consumo di suolo va combattuto a questi due livelli, soprattutto definendo competenze più chiare alle regioni e “obbligandole” a leggi sul territorio che limitino il consumo e le scelte arbitrarie degli enti locali, trasformando i Piani Territoriali regionali in veri e propri “piani regolatori”, come ha recentemente fatto la Toscana, anche dopo un’aspra discussione pubblica, con l’approvazione del Pit fortemente voluta dal presidente Enrico Rossi.

Le politiche del territorio non possono essere fatte né a livello nazionale né a livello comunale, e c’è uno spazio quindi, bensì nel quadro della riforma istituzionale e del riparto di competenze, per individuare un ruolo chiave delle Regioni su questo argomento, a condizione però che si facciano buone leggi regionali, capaci di fermare la corsa a consumare il territorio.

Certo rimane il fatto che per ridurre il consumo di suolo non basterebbe nemmeno non costruire più niente (cosa oggettivamente poco ragionevole); occorrerebbe rinaturalizzare superfici coperte e ormai senza destinazione. Un programma in tal senso potrebbe essere davvero utile.

Il Tirreno 6.5.2015

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