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Mare, Liberty, stazioni dimenticate

Da Piombino a Quercianella, passando da Campiglia, il treno lento che racconta la costa.

di Mario Lancisi (Corriere Fiorentino 29.7.2017)

Da tempo Stefano Maggi, docente a Siena di Storia delle comunicazioni e grande esperto di trasporti, ha in testa un sogno. Quello di recuperare a fini turistici le piccole stazioni oggi abbandonate. «Vi si potrebbero mettere uffici informazioni, ostelli, alberghi, ristoranti. Sarebbe una valorizzazione non solo della stazione, ma anche di tutto il territorio intorno».

Maggi racconta e cita Carlo Cassola che in Ferrovia locale descriveva le stazioncine della Tirrenica, vive e vitali per il territorio. Cassola descrive nel suo romanzo soprattutto la tratta Cecina-Saline, noi invece abbiamo scelto quella che da Piombino Marittima si ferma in tutte e dodici le stazioni prima dell’arrivo a Livorno.

Per chi viene dall’Elba ci sono sei treni al giorno per raggiungere il capoluogo toscano. Prendiamo quello delle 15,27. Che impiega quasi due ore per arrivare a Livorno ma non ci annoia perché le piccole stazioni, distanti l’una dall’altra mediamente dai 5 ai 7 minuti, pur nel dolente abbandono e degrado, sono come piccole finestre su paesaggi di incanto.

Tra mare, campi, scogli e colline. Piombino Marittima è l’unica stazione in Italia, spiega Maggi, così dentro il porto e vicino ai traghetti. Si scende dall’imbarcazione, si attraversa la strada e siamo in stazione, si fa per dire, in realtà è un piccolo corridoio con un box dove si vendono gelati e biglietti.

Si parte. Prima fermata a Piombino città. Una stazione particolare perché si attraversano le acciaierie di quella che una volta lo storico Rossano Pazzagli definì «la piccola Manchester della Maremma», una città-fabbrica, ma oggi i forni sono spenti e il passaggio tra le ciminiere ha un vago sapore spettrale.

Ecco Populonia, in aperta campagna, una stazione scalo per andare a Baratti. Binari tra girasoli. Più in là resti etruschi. Un quadro pittorico. Quando fu costruita la ferrovia Piombino-Campiglia, nel 1892, ricorda Pazzagli, i proprietari della tenuta di Poggio all’Agnello, verso Populonia, si lamentarono perché i convogli disturbavano i bufali al pascolo. Oggi al posto dei granai della fattoria ci sono le piscine di un resort.

Ci si discosta dal mare e si arriva a Campiglia Marittima: fino agli anni Ottanta di fronte al binario 5 c’erano polli e galline. «Oggi chi scende dal treno vede una zona sommersa da palazzi e capannoni industriali, le colline squarciate dalle cave, il mare nascosto e più lontano. Accerchiata da uno sviluppo industriale disordinato, essa ha perso il suo ruolo di perno del sistema locale della mobilità», sottolinea Pazzagli.

Fuori della stazione una statua ricorda la storia del cane Lampo che la mattina saliva in treno e poi tornava la sera al ritorno del padrone dal lavoro. Passava le sue giornate in treno.

Passata Campiglia si ricurva verso il mare. A San Vincenzo i binari e la stazione sembrano spingere il nucleo abitato verso la spiaggia. Al treno e alla stazione si lega l’esplosione turistica. Negli anni Venti e Trenta San Vincenzo era caratterizzata da un turismo di élite. Era ad esempio il soggiorno prediletto di Luigi Pirandello. Poi negli anni Sessanta si è imposto il modello delle seconde case e San Vincenzo si è trasformata in «una periferia urbana in riva al mare» (definizione di Philippe Daverio).

La stazione di Castagneto Carducci-Donoratico si trova nella piazza più bella e mondana del paese. Qui andare alla stazione non significa solo partire, ma anche soggiornare, incontrare gente, spesso volti noti, come osserva l’ex vicesindaco Giancarlo Querci. «Il bar della piazza è frequentato da quasi tutti i personaggi in vacanza da queste parti. Ricordo una volta, in una giornata di caldo torrido, entrare Eugenio Scalfari, vestito e cappello bianco, e ordinare un latte alla menta…», racconta Querci.

Bolgheri, Cecina, Rosignano, Castiglioncello…

Il treno attraversa poi i vigneti dei vini del Bolgherese, dal Sassicaia all’Ornellaia, e la spiaggia dei nobili, ecco il viale dei cipressi e siamo nella piccola stazione di Bolgheri, a due soli chilometri da Bibbona, aperta nel 1863 e soprattutto in passato utilizzata dai contadini della zona e dai bolgheresi che poi si facevano il viale a piedi.

A Cecina, dove c’è una diramazione per Volterra, ma solo durante l’anno scolastico, secondo Dante Alighieri, inizia la Maremma: «Non han sì aspri sterpi né sì folti quelle fiere selvagge che ’n odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi colti», declama nel canto XIII dell’Inferno. E gradatamente cambia il paesaggio e si inizia ad assaporare i paesaggi e gli umori labronici.

Ecco Vada, aperta campagna, campi brulli, diramazione per Collesalvetti–Pisa (linea solo per merci) e una lapide che ricorda le vittime «in numero imprecisato», durante la costruzione della ferrovia Livorno-Vada, alla fine dell’Ottocento.

Ecco Rosignano, costruita nel 1910 con la Solvay e le spiagge bianche. Da qui si arriva a Castiglioncello, una delle più belle stazioni, costruita nel 1910, stile Liberty, che somiglia a livello architettonico a palazzo Pasquini. E il treno comincia a transitare tra gallerie, viadotti, scogli e il mare aperto fino a Quercianella, una stazione fiorita con accanto il castello fatto costruire da Sidney Sonnino su un promontorio a picco sul mare.

Ultima stazione del nostro viaggio Antignano, quartiere di Livorno. Qui si trova lo scoglio della Ballerina, dove, tra l’altro, Paolo Virzì ha girato la scena finale del film La prima cosa bella. Si racconta che sul lungomare di Antignano una giovane ballerina, dopo aver atteso sotto il sole per ore e ore il suo amore che non arrivò mai, per disperazione si gettò dallo scoglio. Suicida per amore.